Ho conosciuto Benedetto Catinella, direttore della filiale italiana di Inkospor (azienda tedesca che si occupa, tra le altre cose, della produzione di integratori per lo sport), alla Genova City Marathon del 2018. Dopo quel fugace incontro, Benedetto mi ha fatto testare buona parte della gamma di prodotti per l’integrazione di Inkospor, che ho imparato ad apprezzare e che ora reputo insostituibili.
In queste settimane – nelle quali si può correre poco, malino e sentendosi come una spia del KGB che sta scappando con una valigetta contenente plutonio – rimane quanto meno un bel po’ di tempo per concentrarsi sugli aspetti collaterali della corsa
L’altro giorno (sapete com’è: ultimamente passo molto tempo in casa…) stavo riordinando la mia libreria. Arrivato alla sezione occupata dai volumi sullo sport, mi è capitato in mano Correre da zero a cento, scritto da Giorgio Calcaterra in collaborazione con Daniele Ottavi, e mi sono ricordato di essere in debito col grande Re Giorgio.
L’amico e allenatore Fulvio Massini scherza sempre sul fatto che noi affetti dal morbo della corsa (sono parole sue) tendiamo a frequentarci in modo univoco, finendo per escludere i non podisti: e questo, che potrebbe sembrare un gesto di grande presunzione, è in realtà una forma di tutela verso chi non corre. Tentiamo, cioè, di proteggere gli stanziali dalla nostra ineludibile tendenza a parlare quasi soltanto dello sport che amiamo. Forse esiste una sola categoria umana più monocorde di noi: gli scacchisti.
Nonostante io pratichi questo sport da pochi anni, sospetto di essere un corridore all’antica, poiché guardo con un sospetto misto a noia il tentativo – da parte di un numero vieppiù crescente di manifestazioni podistiche – di rendersi sempre più sgargianti
Questo, per correre, è il mio periodo dell’anno preferito. Qui a Tortolì si susseguono giornate di aria tersa, di luce bianca. Allenandomi di mattina presto, devo vincere le punture del freddo, che mi accompagnano per il primo paio di chilometri; poi la temperatura si alza, i muscoli cominciano a scaldarsi e posso iniziare a godermela.
Il troppo amore, si sa, fa combinare piccoli e grandi disastri. Per questo noi podisti amatori spesso non collezioniamo solo gare ma anche infortuni: posture o scarpe inadeguate, mancanza di riscaldamento o di stretching, scarsa attenzione al potenziamento della muscolatura (compresa quella, importantissima, del core) e inclinazione a strafare sono tra le principali cause del fatto che molti di noi passano buona parte della stagione sportiva ai box.
Bentrovati. Ogni tanto emergo dalla lettura degli ultimi volumi di argomento podistico e torno a parlare di materiale tecnico per il running. Lo faccio, ormai lo avete capito, prendendo in considerazione solo aziende il cui catalogo poggia più sull’effettiva qualità dei prodotti che non su una campagna pubblicitaria reboante. Sono un ragazzo d’altri tempi, non voletemene.
Più di una volta, in questo spazio, ho ironizzato sulla larga percentuale di podisti amatori che si prende eccessivamente sul serio: correre con dedizione e costanza è attività quanto mai appagante, ma la sovraesposizione alle endorfine può tirare brutti scherzi.
Qualche settimana fa abbiamo recensito (qui) Niente è impossibile, recentissima autobiografia del trentaduenne Kilian Jornet, campione di skyrunning, sci alpinismo e trail running. Alla luce di questo volume, è stata curiosa la lettura di Correre o morire, uscito per Priuli & Verlucca nel 2013 (traduzione di Francesco Ferrucci, prefazione di Simone Moro): i sei anni che intercorrono fra la pubblicazione dei due libri permettono di individuare analogie e differenze, che probabilmente rispecchiano da un lato la maturazione di un giovane uomo, dall’altro la fedeltà a pochissimi (ma assai ben radicati) principi.