Nonostante io pratichi questo sport da pochi anni, sospetto di essere un corridore all’antica, poiché guardo con un sospetto misto a noia il tentativo – da parte di un numero vieppiù crescente di manifestazioni podistiche – di rendersi sempre più sgargianti, di impegnarsi in modo sempre più ossessivo per rendere memorabile il contorno della gara anziché la gara stessa, sino a fare dell’odioso terzo tempo (odioso perché poggiante su una locuzione usata in modo improprio, come ho spiegato qui) il fulcro dell’evento.
Nel precedente articolo sulla mezza maratona di Oristano sono andato un po’ a memoria, ricordando le sensazioni provate durante la partecipazione all’edizione 2018. Devo dire che le mie attese sono state tutte confermate, e posso affermare con sicurezza che la mezza maratona di Oristano (o meglio la Mezza maratona del Giudicato di Oristano) rientra perfettamente nel tipo di gara adatta a me.
Una corsa è una corsa è una corsa è una corsa
Il bizzarro titolo del paragrafo è una citazione di un celebre verso di Gertrude Stein, “Rose is a rose is a rose is a rose”: una cosa, insomma, è quello che è. È o dovrebbe esserlo, aggiungo io.
Mi spiego meglio. Tralascio i dettagli tecnici dell’evento podistico, già descritti nel pezzo uscito lo scorso 6 gennaio. Non disponendo io dell’unica automobile di famiglia, sono partito il sabato subito dopo pranzo: passaggio in macchina di un amico sino a Cagliari, dopo di che treno per Oristano. Il tempo di posare i bagagli nel solito, splendido b&b, e mi sono avviato a ritirare il pacco gara: adoro le abitudini, ho una certa età. E il pacco gara conteneva né più né meno ciò che un pacco gara ha da contenere: il pettorale, una (gran bella) maglia tecnica dell’evento e giusto un paio di prodotti alimentari. Rifuggo dall’idea che il momento del ritiro del pacco gara debba farci sentire come i bambini alla pesca di beneficenza, che sperano di accaparrarsi il premio più grosso: alle corse, ripeto, si va per correre.
La mattina di domenica 1 marzo, alla partenza eravamo quasi un migliaio tra partecipanti alla mezza e alla competitiva di 12,5 km: i numeri sono stati sorprendentemente in crescita rispetto allo scorso anno, nonostante il periodo non certo lieto per i runner (e non solo per loro).
La partenza sarebbe stata alle dieci in punto, ma abbiamo osservato un doveroso minuto di silenzio per ricordare Gianni Murgia, grande uomo di sport oristanese scomparso di recente.
E poi c’è stata la gara, lungo un tracciato decisamente veloce; la temperatura ideale, intorno ai dodici gradi, e un vento meno prepotente del solito sono stati di grande aiuto.
La mia prestazione mi ha soddisfatto abbastanza: iniziando ad allungare le distanze in previsione della Prague Marathon del 3 maggio, ho perso un po’ della mia (già modesta) velocità. Ho comunque condotto bene tutti e ventuno i chilometri, con un passo costante fra i 4’37” e i 4’40”, e ho concluso senza eccessivi affanni in 1h38’41”. La trappola della mezza di Oristano è nascosta, secondo me, nel tratto fra il tredicesimo e il quindicesimo chilometro: un temibile drittone nel nulla che, se affrontato in condizioni di energie psicofisiche precarie, rende complicatissimo il resto della gara. Quest’anno, come nel 2018 e a differenza del 2017, è filato tutto liscio: stavo bene, sia come fiato che come concentrazione.
Una volta tagliato il traguardo, messa al collo la medaglia e restituito il chip mi sono fiondato a fare la doccia e ho pranzato nella consueta trattoria, ancora una volta all’altezza della sua fama.
Non ho badato alla qualità e quantità del ristoro finale proprio perché, dopo una manifestazione podistica, ho piacere di mangiare qualcosa al ristorante e fare due chiacchiere in abiti civili. Per me, infatti, come “a rose is a rose”, una gara è una gara, e per piacermi deve avere poche ma spiccate qualità: un’organizzazione efficiente e affabile, un bel percorso e meno fronzoli possibile. E se partecipando rincontro un bel po’ di volti noti, come è accaduto domenica 1 marzo, ancor meglio.
Amici della mezza maratona del Giudicato di Oristano, arrivederci all’anno prossimo!
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