Ho corso per l’ultima volta, facendo finta di non avere il male tremendo che avevo al tallone destro, il 12 gennaio scorso.
Poi, un paio di giorni dopo, ho provato a scendere in strada, ma le fitte di dolore erano tali che non credo di aver corso più di trenta metri.
Il resto l’ho raccontato qui e qui. La diagnosi precisa parlava di spina (o sperone) calcaneare, per cui sono dovuto andare quattro volte a Cagliari per sottopormi alle onde d’urto focali (o focalizzate: non è colpa mia se ho avuto un problema in cui tutto si può chiamare in due modi). Quasi due ore di strada per un trattamento di otto minuti.
La cyclette
Non avrei mai pensato che mi sarebbe successo. E invece, nel periodo in cui non ho corso, ho fatto la cyclette. Perché? Perché anche spingere sui pedali della bici mi è stato sconsigliato, e perché il padre della mia compagna me ne ha gentilmente prestato una. Di cyclette.
Pedalavo (mezz’ora al giorno: di più, sulla cyclette, mi sembrava immorale), guardavo sul tablet brutte serie TV in inglese sottotitolato, e continuavo a chiedermi quando avrei potuto ricominciare a correre.
Dopo una, due, tre sedute il dolore mi sembrava affievolirsi davvero di poco. Al che ho chiesto un colloquio col dottore a capo del centro medico di Cagliari, un tizio dal carattere così terribile che mi è stato subito simpatico.
Il dottore mi ha detto che avrei sentito un po’ di beneficio dalla terza seduta, e che tutto si sarebbe risolto piano piano dopo la quarta.
Ma io volevo ricominciare a correre.
Dopo la quarta seduta di onde d’urto
Ho fatto le quattro sedute di onde d’urto in quattro giovedì consecutivi. Dopo la quarta, il dottore mi ha visitato e mi ha detto: Lei domenica può tornare a correre.
Io gli ho domandato: davvero? E lui non ha fatto niente, col carattere terribile che si ritrova, per fingere di non mostrarsi offeso. Sarà, ho pensato, ma io fatico ancora a camminare.
L’indomani, venerdì, il tallone mordeva un po’ meno, così ho fatto il gesto eroico di telefonare a Fulvio Massini e chiedergli come avrei potuto ricominciare a correre. Fulvio mi ha dettato, io ho scritto.
Sabato mi sono sentito così così. Domenica mi sono sentito bene. No, non mi sono sentito bene. Sì. No. Mi sono cambiato e sono uscito di casa.
Il 20 febbraio, trentotto giorni dopo l’infortunio, sono tornato a correre. Con una paura orribile, con un fastidio che allenamento dopo allenamento sta continuando a diminuire (le onde d’urto fanno così, agiscono prendendosela comoda).
Ma allora dicci: come è stato, ricominciare a correre?
Ricominciare a correre
Com’è stato ricominciare a correre dopo quasi quaranta giorni? Tragicomico dal punto di vista della forma fisica, va da sé.
Ma veniamo alle cose che contano. Cioè, correre. Potrei dire quanto è stato bello sentire di nuovo la fatica, percepire il corpo che si riappropria del gesto, della postura, ritrovare persino dei tic che caratterizzano il mio specifico modo di correre: ognuno ha i propri. E poi il rituale di vestirsi, indossare la fascia cardio (e constatare che alla stessa velocità di prima avevo una ventina di battiti in più), rifare i consueti percorsi, incrociare i soliti podisti che, nel ritrovarmi, mi hanno sorriso in modo più cordiale del solito.
Potrei. Invece preferisco dire che ricominciare a correre ha significato, per me, tornare a fare una cosa naturale, tornare a casa. Ma nemmeno. È stato come rimettere insieme un pezzo di me che si era perso. Credo che questo sia poi il senso dell’andare dai terapeuti della psiche: per farsi rimettere un pezzo di sé che si era perso, o logorato.
E stavolta vi prendete un finale diverso, ma dopo aver ricominciato a correre ho proprio pensato: e se fossimo solo corpo, e tutto si guastasse e riaggiustasse solo nel corpo?
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