O capitana, mia capitana

Ormai questa rubrica sta diventando un appuntamento a trecentosessanta gradi sullo sport, e non più il diario settimanale di un podista compulsivo. E non mi lamento, perché dalle compulsioni dicono che sia bene guarire.

Tra i fattori che stanno agevolando il mio percorso di emancipazione, c’è la pubblicazione di una serie di recenti volumi che a diverso titolo hanno indagato alcune discipline sportive, soffermandosi ora sul loro lato più frivolo ora sugli aspetti più profondi (e a volte inquietanti).

Uno spettro di letture così diversificato sarebbe da consigliare ai più giovani, o a chi si ostina a immaginare il mondo degli atleti professionisti come un iperuranio del tutto slegato dalla nostra quotidianità, fatta di problemi personali ma anche sociali e politici.

megan rapinoe one life

Megan Rapinoe

Per convincersi che lo sport d’élite è composto (anche) da esseri umani calati come noi nella realtà – e non solo da adulti infantili, con vistosi problemi di sintassi ma abilissimi nel proprio mestiere – sarebbe sufficiente scoprire qualcosa di più sulla vita di persone come Megan Rapinoe.

La capitana della nazionale femminile statunitense di calcio, oltre che una formidabile atleta (nel 2019 è stata premiata con il Pallone d’oro, il massimo riconoscimento individuale per chi gioca a calcio), è un’omosessuale dichiarata, che si batte strenuamente non solo per i diritti dei gay ma per quelli di tutte le minoranze in qualche modo vessate.

E, come se non bastasse, è tra le sportive più determinate nel richiedere la parità salariale (o almeno una minore disparità salariale) tra atlete e atleti.

One life

Di Megan Rapinoe è da poco uscito per Garzanti (maggio 2021, traduzione di Giulia Vallacqua) One life, appassionata e irriverente autobiografia scritta con l’aiuto di Emma Brockes.

Il libro rivela tutta l’energia, l’intransigenza, il coraggio e l’eccentricità di uno dei personaggi del mondo dello sport più interessanti, sfaccettati e… benefici.

Cresciuta in un paese del nord della California da genitori amorevoli ma non troppo progressisti (il voto del padre a Trump alle elezioni presidenziali del 2016 scatenerà una memorabile discussione familiare), Megan a poco a poco scopre il proprio talento calcistico – nei primi anni di carriera condiviso con la sorella gemella Rachael – e piuttosto repentinamente la propria omosessualità: “Ci è voluto un secondo per interpretare cosa stava succedendo. Ma, mentre accadeva, non sembrava qualcosa di negativo. Era semplicemente… normale. Per la prima volta mi sentivo attratta da qualcuno e la scoperta mi ha entusiasmato”, p. 66.

La maturazione di Megan come atleta e come donna va di pari passo: al crescere della consapevolezza delle proprie doti sportive si accompagna un orgoglio sempre crescente verso la propria omosessualità.

Il libro, che si occupa anche delle vicende intime della calciatrice (come le difficoltà del fratello Brian, tossicodipendente e piccolo spacciatore, che si ritrova a tifare per la sorella – impegnata nei Campionati mondiali in Canada – dalla sua cella del carcere), segue Megan Rapinoe soprattutto lungo il suo percorso professionale e di attivista.

Il primo l’ha portata a vincere per due volte i Mondiali (nel 2015 in Canada e nel 2019 in Francia) e una volta le Olimpiadi (a Londra nel 2012). E il secondo ne ha fatto, nel tempo, un’icona del movimento LGBTQIA+. Ma più in generale un punto di riferimento per tutte le minoranze bistrattate, all’interno degli Stati Uniti e non solo.

La sua forte personalità (e l’impulsività di cui spesso si è dovuta pentire) hanno più volte portato Megan a gesti clamorosi. Qui ne ricordiamo due: il gesto di inginocchiarsi durante l’inno nazionale in una partita del 2016, per contestare la violenza della polizia nei confronti degli afroamericani (iniziativa avviata dal campione di football americano Colin Kaepernick); e la sua polemica a distanza con Donald Trump: Megan aveva detto che in caso di vittoria alle Olimpiadi non sarebbe andata alla “fottuta” (fucking) Casa Bianca, e Trump aveva risposto – sbagliando clamorosamente tag – che prima bisognava vincere e poi parlare (seconda gaffe: Megan avrebbe vinto quelle Olimpiadi, e poi avrebbe parlato).

Per cui. Siamo troppo anziani per avere idoli? Forse. Ma l’esempio di Megan Rapinoe, un’eccezionale atleta capace non solo di accorgersi del mondo che la circonda, ma anche di dimostrare che fama e denaro non devono necessariamente allontanare da quelli che Simone Weil ha chiamato “obblighi verso l’essere umano”, ci sembra importante. Ecco perché abbiamo detto che personaggi simili sono benefici; ed ecco perché eleggiamo lei, idealmente, a nostra capitana.



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Claudio Bagnasco
Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975. Suoi brani narrativi e saggistici sono apparsi su vari blog e riviste. Ha pubblicato alcuni libri, tra cui i romanzi "Silvia che seppellisce i morti" (Il Maestrale 2010) e "Gli inseguiti" (CartaCanta 2019), e la raccolta di racconti "In un corpo solo" (Quarup 2011). Ha curato il volume "Dato il posto in cui ci troviamo. Racconti dal carcere di Marassi" (Il Canneto 2013). Il 31 ottobre 2019 è uscito il suo saggio "Runningsofia. Filosofia della corsa" (il Melangolo, seconda edizione 2021). Con Giovanna Piazza ha ideato e cura il blog letterario "Squadernauti". Ha ideato Bed&Runfast, il punto d'incontro fra il mondo del podismo e quello delle strutture ricettive. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com. Dal 2013 abita a Tortolì, dove gestisce un B&B con la sua compagna, corregge testi, insegna le parole difficili a sua figlia e corre.