Il podista sempre felice

Cari lettori, il mio infortunio è ormai ben noto.

O meglio, ben noti sono l’origine di tutte le mie sfighe e gli sviluppi. Ma non siete aggiornati sull’ultimissima novità: mi è stata diagnosticata un’artrosi alle anche in fase, per lo meno, iniziale. Tra qualche giorno un ortopedico saprà dirmi di più.

Nel frattempo corro, ma evidentemente una mobilità solo parziale delle anche, appunto, non mi consente di allenarmi bene, fatico a ritmi che di solito per me sono più che abbordabili e mi resta pressoché sempre una noiosa sensazione di stanchezza alle gambe.

Quando do fondo a tutto il mio ottimismo mi dico che sono comunque fortunato, perché nonostante tutto sto riuscendo – per quanto pochino e maluccio – a correre.

Ma no, in questo periodo non sono un podista felice.

Il podista sempre felice

E così, mi succede una cosa di cui un po’ mi vergogno. In parte per lavoro e in parte per svago (o, meglio, per masochismo), passo alcune ore della giornata a sbirciare profili social di amatori con un certo seguito, nonché quelli di veri e propri – perdonate la parolaccia – influencer dell’universo del podismo.

Ora: capisco bene che la corsa sia uno sport di fatica, uno sport in cui si liberano orde di endorfine, e avrebbe poco senso che i portavoce del podismo parlassero con tono da individui afflitti da depressione.

Tuttavia, e tra pochissimo spiego perché mi vergogno un po’, non se ne può più di volti sempre sorridenti, di persone che sembrano trascorrere – non si capisce se grazie alla corsa o meno – giornate sempre fantastiche, con successi sportivi e umani vieppiù crescenti.

La cosa di cui mi vergogno, ma solo un po’, è che da quando corro con difficoltà sopporto ancor meno la figura del podista sempre felice.

Mi vergogno, sì: ma solo un po’

Dicevo che mi vergogno ma solo un po’, perché sono consapevole di due cose. La prima: tra i miei pur numerosi e sostanziosi difetti so con una buona dose di sicurezza che non alberga l’invidia. La seconda: un moto di fastidio verso il podista sempre felice l’ho sempre avuto. Ora che la distanza tra me e questa figura si è moltiplicata, lo avverto semplicemente con maggiore intensità.

Caro podista sempre felice: non si vince e basta, nella corsa. Ma non nel senso, ovvio, che non si arriva sempre primi. Nemmeno si riesce sempre a raggiungere l’obiettivo che ci si pone. E trovo infantile reagire eufemizzando i fallimenti, con frasi come: “Ho già la testa al prossimo obiettivo”, “Anche questa sconfitta mi ha insegnato qualcosa”.

È la stessa inclinazione agli alibi che fa dire preventivamente, ai podisti schierati sulla linea di partenza di una gara: “La corro solo per finirla”.

Eh no. La corsa, oltre a essere un’impareggiabile discesa nella nostra intimità, è anche una perfetta metafora – o, meglio, un perfetto riassunto – della vita. Dico di più: la corsa dà l’opportunità di apprendere a vivere con maturità. La corsa insegna, ad esempio, quanta disciplina e concentrazione occorrano per tentare di raggiungere un risultato lontano mesi.

Tentare di, appunto. Non c’è certezza di ottenere ciò che si desidera: e davanti al fallimento abbiamo due possibilità. Negarlo, oppure assumerlo ed elaborarlo. Senza, certamente, che diventi motivo di autoflagellazione infinita. Ma nemmeno, come si suol dire, voltando pagina come se nulla fosse accaduto.

Certo: mostrarsi sempre sorridente fa aumentare il processo di identificazione (nonché, probabilmente, il numero) dei follower. Ma c’è un però grosso come una casa: disconoscere gli aspetti non amministrabili della corsa restituisce di essa un aspetto parziale, e in definitiva falso.

E dà anche di noi stessi un’immagine parziale e falsa: quella di individui indistruttibili, immortali, ignari di cosa significhi perdere.

Lo ripetiamo: la corsa denuda, ci mostra per ciò che siamo, ci dà la rara possibilità di confrontarci con i nostri limiti (limiti che, per la loro natura, non sempre sono superabili!).

Fare della corsa qualcosa di meno è certamente legittimo. Tuttavia è anche un gran peccato, una splendida occasione persa.



Siamo una giovane realtà editoriale e non riceviamo finanziamenti pubblici. Il nostro lavoro è sostenuto solo dal contributo dell’editore (CuDriEc S.r.l.) e dagli introiti pubblicitari. I lettori sono la nostra vera ricchezza. Ogni giorno cerchiamo di fornire approfondimenti accurati, unici e veri.
Sostieni Moondo, sostieni l’informazione indipendente!
Desidero inviare a Moondo una mia libera donazione (clicca e dona)

GRATIS!!! SCARICA LA APP DI MOONDO, SCEGLI GLI ARGOMENTI E PERSONALIZZI IL TUO GIORNALE



La tua opinione per noi è molto importante.
Commento su WhatsApp Ora anche su Google News, clicca qui e seguici



Potrebbe interessarti anche:
Claudio Bagnasco
Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975. Suoi brani narrativi e saggistici sono apparsi su vari blog e riviste. Ha pubblicato alcuni libri, tra cui i romanzi "Silvia che seppellisce i morti" (Il Maestrale 2010) e "Gli inseguiti" (CartaCanta 2019), e la raccolta di racconti "In un corpo solo" (Quarup 2011). Ha curato il volume "Dato il posto in cui ci troviamo. Racconti dal carcere di Marassi" (Il Canneto 2013). Il 31 ottobre 2019 è uscito il suo saggio "Runningsofia. Filosofia della corsa" (il Melangolo, seconda edizione 2021). Con Giovanna Piazza ha ideato e cura il blog letterario "Squadernauti". Ha ideato Bed&Runfast, il punto d'incontro fra il mondo del podismo e quello delle strutture ricettive. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com. Dal 2013 abita a Tortolì, dove gestisce un B&B con la sua compagna, corregge testi, insegna le parole difficili a sua figlia e corre.