I podisti amatori sono piacevolmente prevedibili. Hanno i loro rituali, le loro ossessioni, le loro ambizioni smodate, i loro alibi e nondimeno i loro luoghi di culto. Luoghi fisici e virtuali: tra questi ultimi, almeno per quanto riguarda i corridori italiani (no, runner non lo dico) c’è La gang degli atleti disagiati, sito ma soprattutto pagina Facebook seguitissima, in cui si ragiona sull’atletica in modo sì scherzoso, ma con assoluto rigore. Perché, come tra gli altri ricordava Umberto Eco, il gioco è bello solo se preso serissimamente, da parte chi ne conosce a menadito le regole.
Chi è Stefano Frascoli
È il caso di Stefano Frascoli, anima della Gang e mezzofondista veloce con buoni personali, di cui vi abbiamo già parlato due anni fa.
Quando abbiamo recensito il suo volume d’esordio, Correre nel vento. Racconti di atletica leggera, uscito nel 2016 per Effegiemme.
Lì avevamo scoperto il lato meno ludico di Frascoli, la sua profonda dedizione all’atletica, l’amore viscerale e incondizionato per una disciplina che restituisce tutto il suo fascino e il suo mistero solo a chi ha il coraggio di consegnarvisi senza indugi.
Il demone della corsa
Sempre per lo stesso editore, Frascoli nel 2019 dà alle stampe Il demone della corsa, che nuovamente si propone come una sorta di miscellanea di scritti intorno al podismo: si va da pensieri minimi, dal taglio aforistico, a narrazioni di un certo respiro (il racconto più lungo, che dà il titolo all’opera e la chiude, è di venticinque pagine).
Nonostante la cornice narrativa iniziale, che con un espediente narrativo di ispirazione boccaccesca introduce il lettore alla tripartizione del volume (suddiviso nelle sezioni Triassico, Giurassico e Cretaceo), il libro funziona nella sua omogenea varietà, senza bisogno di avviamenti alla lettura. Nel senso che variano lunghezze e toni, ma sempre saldo è il fulcro dell’azione: l’atletica, e più nello specifico la corsa.
O meglio, ancor più precisamente, l’effetto psicologico – ma forse dovremmo dire psicosomatico – che la corsa ha su chi la rende parte della propria vita.
Perché Frascoli è ben capace di spiegare che la corsa o non fa parte dell’esistenza o ne diventa la bussola: correre è una postura esistenziale, ed è impossibile – superata una certa frequenza negli allenamenti – decidere che la corsa sia solo un aspetto marginale della propria quotidianità. La corsa è una compagna di vita; o, per chi non reputa estraneo a sé il problema della trascendenza, una fede.
Stefano Frascoli dispiega tutta la sua esperienza di atleta e la sua passione in narrazioni ora probabilmente autobiografiche ora di ambientazione fantastica. L’ironia, se c’è, è trattenuta, e qui e là appaiono sentori di un genere letterario così poco frequentato in Italia, ma così affine a rappresentare l’atletica: l’epica.
Anche se (ma siamo davvero nell’ambito dei gusti personali) ci ritroviamo d’accordo con la nostra recensione del 2019, quando sospettavamo che il Frascoli più persuasivo sia quello dei flash brevissimi, dal piglio sentenzioso.
Ed è proprio con la citazione di una di queste micronarrazioni che vi rimandiamo a lunedì prossimo, e vi consigliamo la lettura del volume.
Poi, per conoscere anche il lato più scanzonato di Stefano, ad attendervi c’è La gang degli atleti disagiati.
“Allenati. Dacci dentro. Che sia per un mese, un anno o tutta la tua carriera, non lasciare quel maledetto campo di atletica senza aver consumato anche l’ultimo granello di energia. Fai tutto quello che c’è da fare: non trascurare il singolo allungo, gli esercizi in palestra e nemmeno un banale esercizio di tecnica. Tutto ciò significa millesimi di secondo in meno sul cronometro. Parrebbe una cosa insignificante, ma sono proprio loro, i dettagli, che hanno reso grande l’uomo. E sovente capiterà che non avrai voglia, farà freddo, e tu sarai stanco, in ritardo oppure pioverà. Ma tu persisti. Costi quel che costi. Forse, alla fine, dopo centinaia di migliaia di chilometri, una gara sarà quella buona” (p. 27).
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