“Corro solo per divertirmi, non mi interessa guardare il cronometro”.
“I limiti sono solo nella nostra testa”.
Ecco: tra queste due opposte frasi feticcio, alibi abusatissimi che somigliano ad altrettante scorciatoie, sta la verità. Ma dove, e come raggiungerla?
Per spiegarci meglio. La prima delle due frasi risolve a priori tutti gli eventuali problemi che la corsa porta con sé, dal mancato raggiungimento di un obiettivo alo scadimento della condizione di forma. Dichiarando la propria estraneità a ogni parametro quantificabile, è come se si affermasse di voler stare al di qua della fatica, del mettersi in gioco.
D’altronde l’insopportabile slogan di questi ultimi tempi, secondo cui chiunque potrebbe raggiungere qualsiasi risultato se davvero si adoperasse con tutto se stesso per riuscirci, proietta l’obiettivo a una distanza siderale, e quindi lo pone fuori dalla realtà, esattamente come la prima delle due frasi.
Tra queste due sicurezze estreme c’è l’ambito vastissimo (e solo parzialmente amministrabile) della dedizione quotidiana al podismo, a prescindere – sia chiaro – dall’equipaggiamento tecnico individuale.
E chiunque corra con una certa continuità e passione, segnandosi con acribia ogni allenamento sul taccuino (o più probabilmente su un file Excel), è sovente visitato dalla fatidica domanda: Ma io dove potrei arrivare davvero? Dove, se ogni condizione fosse massimamente favorevole? Dieta ad hoc, otto ore di sonno, nessuno stress lavorativo, clima ideale, suocera in vacanza alle Bahamas, integratore idrosalino tarato sulla mia composizione corporea…
Un’indagine seria, finalmente
È quanto prova a chiedersi Alex Hutchinson nell’appassionante Endure, uscito in italiano nel giugno del 2021 per i tipi di Mulatero (traduzione di Chiara Gandolfi Bazzanella).
Il sottotitolo (fedelmente tradotto dall’originale) è La mente, il corpo e i limiti curiosamente elastici della prestazione umana. E fornisce già una buona chiave di lettura dell’opera.
Prima di addentrarci nella quale vale la pena di specificare come il libro, 260 pagine fitte di riferimenti scientifici, per competenza – e pure per qualità di scrittura – si eleva dalla fin troppo cospicua mole di volumi sull’argomento.
Basti pensare che l’autore, giornalista nato a Toronto, è impegnato da anni a scrivere di discipline di resistenza su autorevoli testate statunitensi e canadesi. E ha rappresentato il suo Paese natale, il Canada, in gare internazionali di cross, in pista, su strada e in montagna.
Endure
Endure riporta una straordinaria quantità di fatti straordinari, se ci concedete il gioco di parole da enigmisti della domenica.
Alcuni noti e altri meno. Un esempio per ciascuna delle due categorie? Subito. Per anni i migliori mezzofondisti hanno cercato di infrangere la barriera dei quattro minuti nel miglio, senza successo. Ma non appena, il 6 maggio del 1954, Roger Bannister è riuscito nell’impresa, ecco che dappertutto sono spuntati atleti in grado di scendere a loro volta sotto lo spauracchio dei quattro minuti.
Oppure c’è la storia di Tom Boyle, che nel luglio del 2006 – per soccorrere un ciclista finito sotto un pick-up – in preda a un attacco della cosiddetta forza isterica ha… sollevato il veicolo. Che, a ben guardare al suo peso, sarebbe semplicemente impossibile da sollevare per un essere umano.
Che succede quindi, quando diciamo di aver corso al massimo delle nostre possibilità? Quanto siamo distanti dal vero?
Il libro è un’appassionata investigazione su queste domande capitali per ogni atleta. Sviluppata attraverso esempi, ipotesi, riferimenti a esperimenti e a studi scientifici.
Tuttavia, chi si attende una risposta perentoria da Hutchinson resterà deluso. Di certo, Endure dimostra come “l’interruttore dello sforzo” (p. 205) venga mentalmente premuto assai prima di una situazione di autentico allarme. E spiega ciò che è di grande conforto per noi amatori: l’allenamento mentale ha un peso grande in modo inversamente proporzionale alla qualità dell’atleta.
Ma non ci sono formule né trucchi che possano indicare come raggiungere la condizione idonea a esprimere davvero il massimo di sé. Una sola cosa è certa, e l’autore di Endure la sintetizza con una bella frase, solo apparentemente paradossale: “in ognuno di noi si nasconde un potenziale inesplorato, se si è disposti a crederlo”, p. 248.
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