Perdonate il titolo un po’ grandioso ma è proprio di corsa e di vita che oggi vi parlerò brevemente.
Chiunque corra con una certa assiduità, secondo me, non può non innamorarsi di questa disciplina. E non può non percepire quanto corsa e vita siano strettamente connesse: l’una riverbera sé sull’altra.
Dalla vita alla corsa il passaggio è intuitivo: più siamo in una buona condizione fisica e psicologica e più correre ci viene facile; anzi, sentiamo proprio l’esigenza di lasciare che sia il nostro amato sport a regalarci (pur togliendocele, ma questo sarebbe un altro e non banale discorso) ulteriori energie. Viceversa, dopo un allenamento riuscito male non abbiamo difficoltà a riconoscere che si tratta di un periodo in cui proprio le gambe non girano, la testa non aiuta eccetera.
Più sorprendenti, soprattutto per i neofiti, sono invece le ricadute della corsa sulla vita. Non solo la corsa cadenza le giornate di chi la pratica con frequenza, ma è anche un perfetto antidoto ai problemi quotidiani. L’allenamento mattutino assicura almeno qualche ora di benessere, e la programmazione di una gara – una maratona, poniamo – insegna una quantità di cose: a fissare un obiettivo avvicinandovisi gradualmente, a posticipare il piacere, ad assimilare l’adagio secondo cui non c’è grande conquista senza una altrettanto grande fatica, e ad accettare un altro e più doloroso fatto: per quanto ce la si metta tutta, si può pure fallire.
La corsa e la vita: come una relazione
Oggi, però, mi va di ragionare su un altro aspetto del legame tra corsa e vita.
In più di un’occasione, in questa rubrica, ho scritto del fatto che – dopo anni di corse spensierate – me n’è capitata una dietro l’altra, e la catena di infortuni ha portato con sé un drastico peggioramento delle prestazioni.
Certo, si invecchia. Ma nel mio caso il rallentamento è stato accelerato dai guai fisici, e non ho difficoltà ad ammettere che il contraccolpo psicologico è stato notevole.
Una volta accolta la condizione di podista ancor più lento di quanto già non fossi, ho potuto fare la conoscenza di un nuovo modo di correre, e allo stesso tempo ho meditato sul fatto che la corsa – per chi ha intenzione di averla come compagna per lungo tempo – sa assecondare meravigliosamente le varie età della vita.
Di più: il rapporto con la corsa segue l’evoluzione di una qualunque relazione profonda e duratura.
I rapporti mutano
Diffido di coloro i quali giurano che prima di ogni allenamento o gara provano la stessa emozione degli esordi, nonostante corrano magari da quindici anni. Così come diffido di chi giura di amare il proprio compagno o la propria compagna come il primo giorno, magari dopo trent’anni di convivenza.
Si tratta di frasi automatiche, autoconsolatorie e anche vagamente scaramantiche. Ma sono bugie. I rapporti evolvono, e – ovvietà in arrivo – solo quelli solidi resistono nel tempo. E quelli che resistono evolvono. Alla passione furiosa degli inizi subentra, poco per volta, una conoscenza più minuziosa dell’altro. Da ciò, gli inevitabili momenti di crisi, indispensabili proprio per ricalibrare il rapporto e dargli una dimensione nuova.
Lo stesso vale per la corsa. Ostinarsi a prendere il podismo da un versante solo (e ossessivamente) agonistico significa non cogliere i mutamenti di quel rapporto. Col rischio di non capire più chi si ha di fronte, e con l’ulteriore non remota possibilità di ricevere delusioni sempre più cocenti. Sia nella corsa sia nella vita non è l’altro che a un certo punto ci è diventato illeggibile: siamo noi incapaci di cambiare paio di occhiali.
Un sessantenne che pretende di correre con i ritmi di quando aveva la metà degli anni ha due possibilità: restarci male in eterno, o considerare una buona volta l’idea di abbassare i ritmi.
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