Perdonate se inizierò questo breve ragionamento parlando di me. Non per vanagloria ma per necessità, ve lo giuro. Qualche giorno fa ho firmato un contratto con una piccola ma (anzi: e) bellissima casa editrice, e la mia prossima opera inedita uscirà nella primavera del 2025.
La notizia, oltre ad avermi reso felice, mi ha permesso di tornare su un paragone a cui di tanto in tanto penso, ma svagatamente e senza mai essermici soffermato, finora, con la dovuta pazienza: quello tra correre e scrivere.
Correre, scrivere: una vicendevole esclusione
L’idea di istituire un parallelismo tra corsa e scrittura è nato tempo fa, grazie non a un’affinità ma a una… vicendevole esclusione.
Mi spiego meglio: correre e scrivere sono due attività che, certamente, possono essere svolte a diversi livelli di dedizione (e di perizia). Tuttavia, è come se entrambe le azioni invogliassero a una sorta di rapporto assoluto con esse: è sufficiente incrementare poco per volta i chilometri e sottoporsi ad allenamenti sempre più faticosi per essere attratti dalle lunghe distanze, per perdersi nel mistero della corsa, che è poi mistero di sé.
Lo stesso vale per la scrittura: nessuno vieta di scarabocchiare fogli riempiendoli di frasine consolatorie, ma una volta appreso come la combinazione di certe parole approssimi al fuoco, beh, a quello stesso fuoco si vuole andare sempre più vicino.
Ma allora cos’è la vicendevole esclusione di cui ho parlato? Questa: mi sono accorto che non posso, in uno stesso periodo, scrivere e correre con troppa intensità. Non ce la faccio: o scrivo male o corro male. Proprio per le energie che l’una e l’altra attività richiedono, non ho le forze per gestire – ad esempio – il momento più intenso di una narrazione e le settimane finali della preparazione di una maratona.
Correre, scrivere: le somiglianze
E proprio perché, come dicevamo, correre e scrivere sono due azioni capaci di aprire baratri, se si escludono vicendevolmente è per la somiglianza delle loro nature, capaci di assorbirci.
Sono due azioni, correre e scrivere, che sanno proiettarci fuori dal brusio (ma chiamiamolo pure frastuono) del mondo, ricordarci che siamo capaci di dedicarci completamente a una sola cosa (capìto? Non due), applicandoci con tutta la nostra concentrazione, tutta la nostra attenzione, esperienza, malizia, originalità, spudoratezza, saggezza eccetera.
Corsa e scrittura: a cosa servono?
Quindi, correre e scrivere sono due attività che – a volersi perdere nelle loro profondità (ma che occasione sprecata sarebbe, rimanere in superficie!) – mettono a repentaglio ogni certezza: sono avventure pericolose, come tutte quelle che allontanano dai luoghi conosciuti. Ma allo stesso tempo sono antidoti formidabili a un mondo governato dalla quantità, dalla collezione di esperienze, dall’esibizionismo, dal disimpegno (fare tante cose malino non significa essere un tuttologo: significa non aver imparato a fare niente).
Correre, e scrivere, ci ricordano che esisteva un tempo in cui si andava a bottega a imparare un mestiere, per il quale occorrevano anni, come anni magari occorrevano a produrre un oggetto rifinito in ogni minimo dettaglio.
Tempo sprecato? Oh, no davvero. Siamo di fronte a un’alternativa. Accettare il frastuono del mondo come ritmo cui conformarsi, vivendo giorni stipati di avvenimenti-lampo che ci lasciano, la sera, con una grande confusione e l’impressione di avere girato a vuoto. Oppure cercare di evadere, da questo frastuono, con attività come la corsa o la scrittura, che ci mostrano il vero ritmo del mondo.
Ritmo che non è quello dei tweet (ma ora si chiamano post anche loro) o delle battute salaci di fronte a uno spritz. Bensì quello del nostro respiro quando corriamo, o quello del nostro pensiero quando passiamo in rassegna le parole per trovare quella giusta, capace di far brillare la pagina.