In queste settimane – nelle quali si può correre poco, malino e sentendosi come una spia del KGB che sta scappando con una valigetta contenente plutonio – rimane quanto meno un bel po’ di tempo per concentrarsi sugli aspetti collaterali della corsa: sulla corretta postura, ad esempio, o sulla propriocettività, sulla forza degli arti inferiori, sul core, o addirittura sul senso ultimo del correre, come ho provato sommariamente a fare in alcuni recenti articoli, tra cui questo.
Insomma: qualche settimana fa mi sono reso conto che le mie scarpe (per i più curiosi, le Saucony Iso Ride 2) erano arrivate alla fine del loro onorato servizio e ho deciso, memore di alcuni recenti letture, di ritentare l’avventura del drop zero.
Le scarpe Altra
Avevo già provato, dall’aprile al giugno dell’anno scorso, le Paradigm 4.0 (trovate qui la mia recensione), la scarpa senza dubbio più strutturata del marchio. La sensazione è stata sostanzialmente positiva, ma qualcosa non mi tornava del tutto: i trenta millimetri di suola, il peso e il supporto antipronazione ne facevano una scarpa un po’ troppo compromissoria. Come se Altra avesse avuto eccessive cautele nei confronti di chi, abituato a drop diciamo così canonici, volesse fare il salto al fantomatico drop zero (il drop, lo ricordo a beneficio dei non podisti, è la differenza dell’altezza della suola fra tacco e punta).
Stavolta avevo il desiderio di provare una scarpa più reattiva, per saggiare davvero l’effetto che fa la corsa senza differenziale (che, come offset, è sinonimo di drop). Dopo una breve ricerca ho scoperto che un modello comunque ammortizzato, adatto alle lunghe distanze ma decisamente più leggero delle Paradigm, è la Torin. Benissimo. Sbircio in rete, trovo il penultimo modello (il 3.5 versione Knit; ora siamo al 4.0 ma già si parla di un’imminente uscita del 4.5) a un prezzo davvero conveniente in un negozio on line, lo ordino e – dopo un’attesa inevitabilmente più lunga del consueto, visto il periodo – finalmente ricevo le mie agognate scarpe.
Altra Torin 3.5: le prime sensazioni
Sarà poco professionale, ma fatemi esordire così: sono innamorato di queste scarpe. Ci sono almeno tre elementi che rendono senza dubbio più affabili le Torin 3.5 rispetto alle Paradigm 4.0: sessanta grammi di peso in meno, una suola alta 28 centimetri anziché 30 e l’assenza del supporto per pronatori.
Restano, va da sé, le due caratteristiche fondanti di ogni calzatura Altra: il già citato drop zero e il Toe Box Footshape, l’inconfondibile forma della suola che mantiene le dita ben distese e distanziate fra loro, così da permettere al podista di riabituarsi a sfruttare la forza elastica del piede, estremità comprese.
Mi sto allenando con chilometraggi contenuti e in un percorso non troppo agevole, per cui spero di potervi riparlare presto di queste scarpe, quando avrò modo di testarle in uscite più cospicue lungo i miei amati (e oggi solo sognati) soliti percorsi.
Per ora posso dirvi che le Torin 3.5 sono di una comodità disarmante nei lenti, hanno un’ottima reattività nelle ripetute e restituiscono davvero la sensazione di una corsa più naturale, primitiva, oserei dire giusta.
Nel senso che il drop zero impone una sollecitazione maggiore non solo del piede, ma dell’intera catena posteriore, dai glutei ai talloni: si riscopre, correndo con le calzature Altra, quanto del nostro sforzo era demandato al differenziale e, più in generale, all’ammortizzazione della scarpa. Un piccolo miracolo, poi: ho convissuto per mesi con un fastidio al piriforme, che con l’utilizzo delle Torin – che evidentemente riequilibrano la postura – è scomparso.
Infine, prevengo l’obiezione: quali i tempi di adattamento al drop zero? Sarò fortunato (e forse la mia provenienza dal drop 8 delle Saucony mi ha aiutato) ma non ho patito il minimo problema. Forse solo nella primissima uscita ho avuto sensazioni inedite, sì, ma subito positive, anzi entusiasmanti.
Per concludere. È voce diffusa che chi prova le Altra non le abbandona più. Temo che non sarò io a smentire questa voce.
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