Mi viene in mente di non aver mai scritto, per questa rubrica, un pezzo composito, e oggi è giunta l’ora di farlo, perché ho tre diverse cose da dire, tutt’e tre brevi, e – insomma – eccole qua.
Stefano Mei e la presidenza Fidal
Nel marzo del 2021 ci saranno le elezioni del prossimo presidente nazionale Fidal. La cosa riguarda tutti noi, ragazzi. Tutti noi che ci lamentiamo del costo delle gare, del bizzarro calendario per cui spesso la stessa domenica si corrono due o più prestigiose maratone, della poca chiarezza intorno alla Runcard… Per non parlare dell’ormai antico discorso sul decadimento della qualità dei nostri atleti professionisti, frutto – evidentemente – anche di una scarsa attenzione alle giovani promesse dell’atletica.
Comunque. Per una prestigiosa testata, ho avuto modo di intervistare due dei candidati alla presidenza. Due galantuomini, ma confesso senza pudore che tutto il mio affetto (e, per quel che vale, il mio sostegno) va a Stefano Mei: il grande atleta che Stefano è stato conosce da vicino, da dentro, i problemi dell’atletica, i desideri delle società, dei professionisti e anche degli amatori come noi. L’ho percepito pieno di idee, di entusiasmo e di coraggio: ho la vivida impressione che solo Mei possa davvero svecchiare l’atletica italiana e restituirle il ruolo centrale che aveva proprio negli anni in cui lui e altri fuoriclasse sapevano imporsi a livello internazionale.
Fa caldo/non fa caldo
Non so voi. Ma a me gli allenamenti settembrini, quando la temperatura inizia a scendere, e partendo la mattina presto si può correre con una ventina di gradi e un clima ragionevolmente secco (vi ricordo che dalle mie parti, in piena estate, fa davvero caldo), piacciono in modo particolare. Questi sono i giorni in cui torno a viaggiare su tempi per me dignitosi, non rischio di abbandonare le sessioni di ripetute a metà con le pive nel sacco né sono costretto a correre i lenti aggiungendo dieci secondi ai miei già mediocri ritmi consueti.
Sono le piccole soddisfazioni tascabili di noi tapascioni, lasciatecele: siamo brava gente, non facciamo male a nessuno.
E comunque è presto per cantare vittoria: capita sempre, intorno a metà settembre, una coda di caldo inopinato, che ci rovina almeno un allenamento e ci fa presagire un futuro prossimo al circolo dopolavoristico, tra partite a carte e bicchieri di vino rosso (nemmeno male, va detto).
Si gareggia!
Allora: pare che si ricominci. Non ho letto con troppa attenzione le modalità con cui si svolgeranno le prossime gare ma – correggetemi se sbaglio – mi pare di aver capito che si partirà in gruppi non troppo folti, e per i primi cinquecento metri si dovrà indossare la mascherina. Cosa dite, ci accontentiamo? Lo so: la privazione della totale libertà in un’attività che molti di noi percepiscono come l’espressione della libertà massima sembra un controsenso. Tuttavia, secondo me, delle due l’una: o prendiamo il buono che viene da questa apertura, oppure non gareggiamo sino a quando tutto non tornerà come prima, e per adesso continuiamo ad allenarci e nulla più, ad assaporare il gusto della corsa per la corsa.
Ma ho il sospetto che, chi già prima di questi complicatissimi mesi era del tutto disinteressato all’aspetto competitivo della disciplina, e si limitava a correre per il piacere di farlo, non muterà il suo scanzonato approccio; mentre noi, animalacci più o meno ossessionati da cronometri, GPS, fasce cardio e quant’altro, non appena potremo ci iscriveremo a una gara.
Lo so: altrove ho scritto di quanto sia stato piacevole, nelle settimane in cui siamo stati costretti a correre in minipercorsi da criceti, riscoprire il puro gesto della corsa. Ma una cosa è riconoscere la bellezza delle cose pure, altra cosa è sapersele far bastare.
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