ROMA – Il 9 luglio 1950 è nata una stella del tennis italiano: Adriano Panatta. Il giocatore di punta della squadra nazionale, che vinse la Coppa Davis nel 1976 (l’unica conquistata dall’Italia) e non solo, continua a far parlare di sè. E lo fa attraverso il suo ultimo libro “Il tennis è musica“, in libreria già da qualche giorno.
In molti, in particolare gli appassionati di questo sport, si staranno chiedendo da dove è nata l’idea di scrivere questo testo. La maggior parte avrà sicuramente pensato al breve monologo nel cameo per “La profezia dell’armadillo”, diventato virale sui social network, soprattutto l’ormai famoso “pof pof” che scandisce il ritmo di uno scambio.
L’intervista esclusiva ad Adriano Panatta
Ma ce lo spiega proprio il campione italiano ai nostri microfoni. “L’idea, i motivi… Non ce n’è mai uno soltanto. Lo spunto principale – rivela Panatta – resta però la voglia di raccontare un periodo del tennis, e della mia vita, in cui sono successe tantissime cose, alcune molto simili a una rivoluzione. Per motivi di età prima (nel 1968 avevo 18 anni), poi di professione, si tratta di anni che ho vissuto da vicino, a vario titolo. Insieme con Daniele Azzolini abbiamo deciso di raccontarli”.
Dalla “rivoluzione” si passa ai giorni d’oggi dove l’estetica, il talento e il divertimento oltre il risultato sono sempre più rari. “Non sono scomparsi dal tennis – afferma -. C’è però meno tempo per apprezzarli, per gustarli, talvolta persino per accorgersene. Le nuove generazioni sono diverse da come eravamo noi. Io, ai miei tempi, ero uno alto… Oggi non più. Lo stesso vale per i muscoli, per gli allenamenti che si fanno e si possono sostenere, per i materiali che si usano e che sono all’opposto dei nostri. Tutto cambia, tutto progredisce. Non sempre per il meglio, ed è questo, fra i tanti, l’aspetto sul quale è opportuno preoccuparsi di più, lavorare e intervenire”.
Panatta, un consiglio per i giovani tennisti? “Prendere molto sul serio ciò che si fa, magari un po’ meno se stessi”
Un passaggio interessante nel libro è quando si parla dei ragazzi della Next Gen pronti a rottomare gli Immortali. Non c’è un aneddoto particolare su di loro perché “sono ancora troppo… “nuovi” – spiega il campione italiano – per conoscere storie e aneddoti su questi tennisti, alcuni davvero giovanissimi. A parte quelle poche cose che abbiamo raccontato nel libro. Volentieri, però, vorrei dare a ognuno di loro un buon consiglio. Ne basta uno… Prendere molto sul serio ciò che si fa, perché è giusto farlo bene, magari un po’ meno se stessi, il proprio ruolo, l’idea stessa che si possa essere, così giovani, già delle star. L’intelligenza e il buon senso vengono prima di tutto. Un tennista tira una pallina il più possibile vicino a una riga, non potrà mai essere più importante di uno scienziato“.
La differenza tra gli atleti di oggi e quelli di qualche anno fa passa anche dalla preparazione alle grandi sfide. “Come vivevo o cosa ero solito fare il giorno prima di un’importante finale? Se avevo un rito scaramantico? La scaramanzia non va di pari passo con la modernità, o la crescita di giovani sempre più atletici e robusti. La scaramanzia c’era ai miei tempi e c’è oggi. Io tenevo nel borsone chiodi e ferri vecchi, altri come Nadal diventano matti con tre bottiglie d’acqua minerale poggiate per terra. Il tennis è fisico e mente, e credetemi, quando ho detto che il nostro sport l’ha inventato il diavolo, sapevo quello che dicevo“. Il tennis è musica” e allora sorge una domanda scontata. Quale sono i generi musicali che preferisce? Panatta non ha dubbi: “Sono nato fra pop e rock. E non li ho mai traditi. La miscela migliore? Pop e interpreti di grande classe, su tutti Mina. Imbattibile”.
Tornando al libro. E’ molto interessante la classifica dei migliori 40 tennisti di sempre. Con chi aveva legato di più? Quali sono stati oltre al confronto sul campo da tennis gli atleti con cui ha condiviso momenti di vita fuori dal campo? Molti della mia generazione. Eravamo amici, lo siamo rimasti, ci sentiamo, facciamo festa quando ci si ritrova. Io ero molto legato a Nastase, a Borg, a Gerulaitis, a Vilas, andavo d’accordo con Ashe e anche con alcuni grandi scorbutici come Connors e McEnroe. Con molti di loro ho trascorso dei periodi di vacanza. Era un tennis più rilassato dal punto di vista dei rapporti personali“.
Panatta ed il tennis italiano oggi
Non poteva mancare l’attualità. Fognini e Giorgi sono i migliori tennisti italiani rispettivamente nelle classifiche Atp e Wta. Cosa manca loro per arrivare nella top 10? E perché secondo lei l’Italia non riesce ad imporsi nella top 50 con più atleti? Sono due ottimi tennisti, e vengono entrambi dalla loro migliore stagione. Non hanno niente in meno degli altri Top Ten, dunque sta a loro trovare il modo per completare l’ultimo salto. Sono anche convinto che lo meritino. Più in generale, il tennis italiano, come tutto il nostro sport, è figlio di una nazione che ha ritenuto, a livello scolastico, che l’attività fisica fosse meno importante della matematica, o di altre materie. L’errore nasce da lì, e marca anche la nostra diversità con il resto del mondo. Ovunque, lo sport è uno dei momenti importanti della vita studentesca. Da noi non ci sono nemmeno le strutture. Uscendo invece dai massimi sistemi, direi che il confronto in campo maschile, nel tennis, è diventato davvero serrato. Difficile trovare atleti di altissimo livello, e dirottarli al tennis soffiandoli ad altre discipline, anche più appetibili da un punto di vista economico. Sul fronte femminile, invece, non è stato fatto tutto il possibile, a mio avviso, per perpetuare il grande exploit di Schiavone, Vinci, Pennetta, Errani. Occorreva forse una grande operazione di marketing. Peccato…”.
Panatta, che per lavoro ha girato il mondo e si è laureato Campione del mondo in due discipline sportive Tennis e Motonautica, vuole chiudere l’intervista dando un consiglio ai giovani che si avvicinano allo sport? “Mai dimenticare il divertimento, soprattutto quando si è piccoli. E mai sottovalutare gli insegnamenti che lo sport dispensa per vie naturali. Il rispetto per le regole, per gli altri, per le diversità, per i meno forti. Resta sempre una grande palestra di vita, lo sport”.
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