La convalescenza del podista

Va bene, il titolo è un po’ sul pomposo andante.

Perché non è che qui si tratti proprio di parlare della convalescenza del podista in generale. Bensì quella del podista che sta redigendo questo pezzo, alias me medesimo.

Ho già scritto in più occasioni, per esorcizzarlo o forse per avere la compassione dei lettori, del mio primo infortunio da corridore. Senza scendere in dettagli, una noiosa spina calcaneare mi ha tenuto fermo per quasi quaranta giorni.

Qui ho redatto un articolo pieno di speranze, alla ripresa degli allenamenti e dopo una terapia consistita in quattro sedute di onde d’urto focali.

Le cose sembravano andare bene: reggevo i pochi chilometri (per non sforzare troppo l’organismo va da sé che si ricomincia con piccoli carichi) ed ero felice come un bambino per il fatto di poter rinfilare le scarpe da corsa.

Poi però i chilometri sono aumentati, e qualche dolorino è ricomparso. Al punto che per mettere le cose completamente a posto si è resa necessaria una quinta onda d’urto. Ma quello è stato veramente il problema minore.

convalescenza del podista

Ricominciare (davvero) a correre

Un conto, cari lettori, è correre otto chilometri a ritmo lento. Altro è correrne il doppio con delle variazioni, o provarsi in ripetute da uno o due chilometri, eccetera.

È stato in quei momenti che si è palesata la mia pessima condizione di forma. Ma soprattutto si è palesata una cosa ben più complessa: la convalescenza del podista. Ma chiamiamola pure la mia convalescenza. Il vocabolario Treccani online dice, alla voce convalescenza: “Stato di transizione dalla malattia ormai superata al recupero completo delle forze e del benessere psicofisico che caratterizza la completa guarigione.”

Perfetto. Bellissimo e terribile. Bellissimo perché, caro vocabolario Treccani, mi stai dicendo che prima o poi raggiungerò il “recupero completo delle forze e del benessere psicofisico”, e questa mi pare una gran cosa. Poi mi dici anche che la malattia è ormai superata, e io gongolo.

Gongolo? Non lo so, perché in quel limbo lì è un gran casino, assai peggio di quanto io immaginassi.

Ho quasi quarantasette anni, caro vocabolario Treccani. Sono sempre stato un podista modesto, ma sai cosa significa andare dieci o anche quindici secondi più piano rispetto ai propri ritmi abituali?

Sentirsi le gambe stanchissime e la mente annebbiata (e di conseguenza il morale a terra) anche in allenamenti che un tempo avrei considerato di media difficoltà?

Convalescenza e vecchiaia

C’è un fatto che non sai, caro vocabolario Treccani. Il fatto è che, superata una certa età, non si controllano più i tempi dei propri allenamenti e delle gare con l’obiettivo di far meglio di questo o quell’avversario. Ma per posticipare il più possibile il momento in cui le nostre prestazioni scadranno (e lo faranno in modo sempre più violento e rapido) perché si invecchia.

Allora tu ben comprendi che dopo uno stop di quasi quaranta giorni, a sentirmi col fiatone tenendo ritmi che sino a gennaio mi avrebbero consentito di fare una telefonata al commercialista, mi prende una fifa blu. Perché, come ti ho già detto, i giorni di stop sono stati quasi quaranta, ma gli anni sono quasi quarantasette.

E lo so bene che prima o poi smetterò di tenere i miei consueti ritmi, e quando rincaserò con un sorriso fasullo spererò solo che la mia compagna e mia figlia non si accorgano di niente. Perché la corsa, caro vocabolario Treccani, dopo una certa età è anche un allegro-disperato rituale per scongiurare il fatto che, ecco, sappiamo tutti come andrà a finire.

Ma io devo arrivarci per gradi, non mi piacciono per niente questi infortuni e soprattutto questa convalescenza del podista. È come se di colpo ci si ritrovasse scaraventati in avanti di anni. La mia convalescenza mi ricorda quell’applicativo tanto di moda qualche estate fa, come si chiamava?

FaceApp, ecco. Quello che invecchiava i volti. L’ho eliminato dopo pochi giorni perché mi dava la malinconia.

Devo stare attento a non infortunarmi più, per non ritrovarmi a vivere una nuova convalescenza. Ma per non infortunarmi più dovrò mica correre più piano? Ma se corro più piano mi sembrerà di essere invecchiato di anni.

Come se ne esce?



Siamo una giovane realtà editoriale e non riceviamo finanziamenti pubblici. Il nostro lavoro è sostenuto solo dal contributo dell’editore (CuDriEc S.r.l.) e dagli introiti pubblicitari. I lettori sono la nostra vera ricchezza. Ogni giorno cerchiamo di fornire approfondimenti accurati, unici e veri.
Sostieni Moondo, sostieni l’informazione indipendente!
Desidero inviare a Moondo una mia libera donazione (clicca e dona)

GRATIS!!! SCARICA LA APP DI MOONDO, SCEGLI GLI ARGOMENTI E PERSONALIZZI IL TUO GIORNALE



La tua opinione per noi è molto importante.
Commento su WhatsApp Ora anche su Google News, clicca qui e seguici



Potrebbe interessarti anche:
Claudio Bagnasco
Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975. Suoi brani narrativi e saggistici sono apparsi su vari blog e riviste. Ha pubblicato alcuni libri, tra cui i romanzi "Silvia che seppellisce i morti" (Il Maestrale 2010) e "Gli inseguiti" (CartaCanta 2019), e la raccolta di racconti "In un corpo solo" (Quarup 2011). Ha curato il volume "Dato il posto in cui ci troviamo. Racconti dal carcere di Marassi" (Il Canneto 2013). Il 31 ottobre 2019 è uscito il suo saggio "Runningsofia. Filosofia della corsa" (il Melangolo, seconda edizione 2021). Con Giovanna Piazza ha ideato e cura il blog letterario "Squadernauti". Ha ideato Bed&Runfast, il punto d'incontro fra il mondo del podismo e quello delle strutture ricettive. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com. Dal 2013 abita a Tortolì, dove gestisce un B&B con la sua compagna, corregge testi, insegna le parole difficili a sua figlia e corre.