Dallo scorso dicembre, in preparazione della White Marble Marathon, mi sto allenando con le Karhu Ikoni Ortix. Prima di parlarvi di questo specifico modello, merita almeno un cenno il glorioso marchio che lo ha prodotto.
Un po’ di storia
Karhu, che (come facilmente si intuisce dal logo) significa orso, nasce nel 1916 a Helsinki. Fin dai suoi primi anni ha fornito le calzature a sportivi e soprattutto a podisti di fama mondiale: vi basti pensare che le scarpe Karhu sono state indossate da Paavo Nurmi alle Olimpiadi di Parigi del 1924, dove vinse cinque medaglie d’oro, e da Emil Zátopek alle Olimpiadi del 1952 proprio a Helsinki; sì, quelle in cui mise a segno la mitica tripletta di ori sui 5000 e 10000 metri e sulla maratona.
Karhu ha abbandonato la primitiva prospettiva artigianale a partire dagli anni sessanta del Novecento, quanto ha iniziato a progettare tecnologie innovative e ad aprirsi al mondo delle sneakers.
Karhu Ikoni Ortix
Le Karhu Ikoni Ortix hanno due peculiarità che, sommando le loro virtù, ne fanno un prodotto davvero unico.
Stiamo parlando dell’intersuola ergonomica Ortix™ Fit e della tecnologia Fulcrum™, che creano un’ammortizzazione direzionale. Mi spiego meglio: a ogni passo, la fattura e i materiali della scarpa permettono di bilanciare la forza, assicurando una minore dispersione di energia e una maggiore spinta con la parte anteriore del piede. Il risultato è doppio: una corretta postura, col busto leggermente sbilanciato in avanti, e una corsa più economica ed efficiente.
Una curiosità non piccola: le Karhu Ikoni Ortix sono state disegnate dopo aver scansionato in 3D la bellezza di oltre 100.000 piedi di podisti.
Più in generale, attraverso test indipendenti eseguiti all’Università di Jyvaskyla in Finlandia e all’Università dell’Iowa negli USA si è dimostrato che le calzature Karhu inducono a minori oscillazioni, sia verticali che orizzontali, rispetto alle scarpe da running tradizionali ma anche rispetto alle cosiddette scarpe minimaliste, quelle cioè che mimano il barefoot running.
Il test
Ora tocca a me, finalmente. Prima di indossare le Karhu Ikoni Ortix, scarpe ammortizzate adatte alle lunghe distanze, le ho pesate, e mi sono stupito nel rilevare che sono quasi venti grammi in più delle mie Triumph Iso 2, ovvero le loro omologhe della Saucony. Il drop (la differenza di altezza fra tacco e punta), di 8 millimetri, è invece il medesimo.
Ma mi sono bastati pochi chilometri per rendermi conto di non avvertire affatto questo peso aggiuntivo. Anzi: le tecnologie Karhu, che quasi obbligano a una falcata rotonda, a un appoggio di mesopiede e a una lieve inclinazione del busto, fanno sentire davvero poco le Ikoni Ortix. Anche perché il piede viene fasciato perfettamente, dunque non ho avuto sensazioni di scivolamento del tallone o di costrizione delle dita.
Inoltre ho percepito le scarpe come molto duttili: hanno risposto bene in uscite anche superiori ai 30 chilometri, e allo stesso tempo si sono rivelate reattive nei lavori di ripetute.
C’è un altro aspetto importante: nell’epoca in cui anche i più modesti amatori si sentono dei campioni e si ostinano (ma perché, poi?) a cambiare le calzature dopo averle usate per meno di 500 chilometri, personalmente posso dire di essere arrivato quasi a 600 chilometri con le mie Ikoni Ortix, senza finora constatare alcun cedimento. E non intendo solo nell’ammortizzazione: non intravedo proprio il minimo segno di usura (confessiamocelo: chi non ha mai corso con un buco nella tomaia di scarpe per il resto ancora quasi nuove?).
Considerato infine che il prezzo delle Karhu Ikoni Ortix è del tutto in linea con le ammiraglie degli altri marchi di scarpe da corsa, e che la loro estetica è particolare e accattivante, beh: non posso che ritenermi pienamente soddisfatto.
Parola mia e… di Nurmi e Zatopek!
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