Il senso dello sport

Come la quasi totalità dei giovani italiani, anche io ho giocato a calcio in una squadra. Ho il ricordo di partite in campi di piccoli paesi raggiungibili solo attraverso stradine impossibili, la domenica mattina prestissimo, con un freddo atroce e lo sciroppo di rose che – nell’intervallo – leniva solo parzialmente la sensazione di congelamento. Ma soprattutto ho il ricordo di troppi genitori che, disinteressandosi della partita, rivolgevano una variopinta rosa di epiteti agli arbitri e addirittura ai giocatori avversari: che erano dei bambini, miseriaccia. Aggiungo che non mancava chi preferiva prendersela unicamente col proprio figlio.

E un altro ricordo, anzi un garbuglio non facile da districare, di tanto in tanto mi riaffiora alla mente ancora oggi. Noi, ad esempio, eravamo bravini, e siamo arrivati alla finale del campionato provinciale nella categoria Giovanissimi.

Ebbene: se si tratta di sport giovanile a un livello discreto ma non eccelso, l’allenatore di una squadra deve sempre mettere in campo la formazione migliore, per fare più punti possibile in classifica? O dovrebbe concedere, se non il medesimo spazio a tutti, almeno un po’ di gloria a ciascun componente dell’organico?

Il senso dello sport. Il libro

Ad ampliare il senso della domanda si arriva dritti al cuore de Il senso dello sport. Valori, agonismo, inclusione, volume uscito per Mimesis nel maggio del 2022 a cura di Luca Grion. E che contiene, oltre alla prefazione di Andrea Zorzi e alla postfazione di Alessia Trost, gli interventi di una serie di professionisti che a diverso titolo si sono occupati di sport e inclusività.

Lo sport, come ad esempio ricorda il ricercatore in Filosofia morale Simone Grigoletto, è “il mezzo per la formazione del carattere”. Dove per carattere si intende “una serie di risorse personali che ispirano, guidano e motivano le nostre azioni” (p. 91).

Risulta evidente, quindi, come la pratica sportiva disciplini l’individuo e – se interpretata correttamente da tutte le figure che cooperano, dagli allenatori ai familiari – possa insegnare a relazionarsi con gli altri in modo creativo, inclusivo, all’insegna della reciprocità e non della sopraffazione.

D’altronde, lo spiega bene il mitico Zorro Zorzi già nelle pagine introduttive: “Solo una responsabile e coraggiosa gestione di questa sfida può evitare che la competizione, caratteristica indispensabile dello sport, si trasformi in una forma di sopraffazione sui più fragili, oppure in una eccessiva limitazione delle pulsioni dei singoli”, pp. 14-5.

Ne Il senso dello sport, gli estensori dei diversi contributi affrontano l’argomento dello sport indagando le sue potenzialità terapeutiche nei confronti del disagio psico-sociale e della disabilità, oltre a quelle di veicolo della (già citata, ma mai abbastanza) inclusività.

L’inclusività: una chimera?

In questo senso ci sentiamo di dire che spicca per originalità e chiarezza espositiva il saggio del curatore dell’opera, Luca Grion. Che affronta un argomento già investigato in modo perentorio nel numero 7 della rivista Menelique, da noi recensita.

Grion, nel saggio Sport e transgender: la partita difficile tra inclusione ed equità, sembra riprendere il nostro interrogativo iniziale, che qui si mostra in tutta la sua attualità, se non urgenza.

La partecipazione degli atleti transgender alle competizioni agonistiche mostra infatti tutta la delicatezza di un tema che chiama in causa, necessariamente contrapponendoli, due “valori ugualmente preziosi: l’inclusione (di tutti entro lo spazio libero del gioco) e l’equità (della competizione che, per essere giusta, deve mettere i concorrenti su un piano di relativa uguaglianza di possibilità)”, p. 117.

Sono problemi urgenti, dicevamo, ma che purtroppo oggi appaiono ancora astratti. Perché palesano la somma di diverse arretratezze culturali: quella nei confronti della funzione sociale dello sport, quella nei confronti dell’accoglienza della diversità, quella nei confronti di una vita che non dovrebbe mai somigliare a un’inesausta e ossessiva pratica dell’affermazione di sé.



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Claudio Bagnasco
Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975. Suoi brani narrativi e saggistici sono apparsi su vari blog e riviste. Ha pubblicato alcuni libri, tra cui i romanzi "Silvia che seppellisce i morti" (Il Maestrale 2010) e "Gli inseguiti" (CartaCanta 2019), e la raccolta di racconti "In un corpo solo" (Quarup 2011). Ha curato il volume "Dato il posto in cui ci troviamo. Racconti dal carcere di Marassi" (Il Canneto 2013). Il 31 ottobre 2019 è uscito il suo saggio "Runningsofia. Filosofia della corsa" (il Melangolo, seconda edizione 2021). Con Giovanna Piazza ha ideato e cura il blog letterario "Squadernauti". Ha ideato Bed&Runfast, il punto d'incontro fra il mondo del podismo e quello delle strutture ricettive. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com. Dal 2013 abita a Tortolì, dove gestisce un B&B con la sua compagna, corregge testi, insegna le parole difficili a sua figlia e corre.