Da qualche parte ho già scritto che il mio rapporto con il ciclismo è tal e quale quello di Paolo Conte. Il grande cantautore era stato intervistato, in qualità di autore di Bartali, ai tempi dei trionfi di Marco Pantani. E si era subito schermito, dicendo che lui del ciclismo non capiva niente, ma era entusiasmato dalla sua mistica.
Idem io, che se di tanto in tanto mi imbatto in un volume su questo nobilissimo sport, lo leggo (e magari poi lo recensisco) con l’entusiasmo infantile con cui leggerei un romanzo di Jules Verne.
I dannati del pedale
Evidentemente Paolo Viberti lo sa, e con il suo I dannati del pedale ha confezionato un volumetto su misura per me.
Il libro, già edito da Ediciclo nel 2017, è uscito ora (febbraio 2024) in una nuova edizione, che mantiene la prefazione di Davide Cassani e il suggestivo sottotitolo: Da Coppi a Pantani, i ciclisti più inquieti, romantici e faustiani.
L’autore
Paolo Viberti, oltre che appassionato ciclista, ha scritto diversi volumi sui miti della bicicletta, e nei suoi trentacinque anni da giornalista al Corriere dello Sport ha seguito nove Olimpiadi, trenta Giri d’Italia, diciassette Tour de France, oltre a svariati Mondiali o Europei di ciclismo, basket, sci, fondo, slittino e baseball.
Ma ne I dannati del pedale, l’impressione è che Viberti abbia dismesso il ruolo (e lo stile) giornalistico per indulgere a una scrittura più personale, ritraendo così una serie di bozzetti (e relativi aneddoti) gustosi anche per chi, come me, è pressoché digiuno di cultura ciclistica.
I personaggi
I dannati del pedale accoglie dunque una carrellata di campioni che si sono prodotti in gesta eroiche (e che, come spesso capita alle figure mitizzate, in molti casi sono state vittima di una fine tragica).
Viberti li divide in due sezioni: I dannati e I romantici.
Tra i dannati, l’autore colloca ad esempio l’indomito Henri Pélissier, che abbandona il Tour de France del 1919 (dopo aver vinto due delle quattro tappe iniziali) per essersi visto negare un bicchiere di vino extra a fine gara. Vigeva infatti la regola che ciascun atleta ricevesse l’identica razione di cibo e bevande. Pélissier morirà per mano dell’amante Camille, che minacciata con un coltello gli sparerà cinque colpi con la stessa pistola con cui due anni prima si era uccisa la moglie del campione. E poi Ottavio Bottecchia, Fausto Coppi, Laurent Fignon… Oltre, inevitabilmente, a Marco Pantani, che con Viberti era in confidenza. E al quale l’autore dedica alcune delle pagine più struggenti, che si concludono con una coraggiosa dichiarazione: chiunque abbia conosciuto Pantani sa che il Pirata non si sarebbe mai potuto suicidare.
Tra i romantici, Viberti annovera Alfonsina Strada, prima donna che (nel 1924) partecipa a un Giro. O Alfredo Binda, troppo forte per gli avversari, al punto che all’allora direttore della Gazzetta dello Sport viene in mente di elargirgli un premio in denaro per… fargli rinunciare al Giro. E ancora Adorni, Bartali, Merckx, Bugno… E per tornare a Paolo Conte, che lo ha immortalato nella sua strepitosa Diavolo Rosso, Giovanni Gerbi. Che sbagliando strada durante una corsa si è ritrovato nel bel mezzo di una processione religiosa. E la sua maglia rossa ha stimolato la fantasia dei fedeli, che hanno visto in lui il diavolo in bicicletta.
I paesaggi
Chiude I dannati del pedale un breve capitolo intitolato I luoghi del culto, perché si sa, ogni personaggio memorabile agisce in adeguate scenografie.
E così ecco, in carrellata, alcuni dei paesaggi più emblematici (e ostici) dell’universo delle due ruote, come il Colle del Sestriere o il Passo del Mortirolo. Che Paolo Viberti non conosce solo come giornalista ma anche come ciclista amatore. Siccome i luoghi di culto sono lì anche per essere visitati.
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