Diciamo la verità: una delle cose che a noi podisti affascina, del nostro sport, è la sua estrema marginalità.
Non solo gli amatori che macinano chilometri sono votati alla fatica, ma anche (e soprattutto) i professionisti. I quali si allenano due volte al giorno e, pressoché ignorati dai media, nei casi più fortunati hanno di che campare decentemente e poco più. E ci sentiamo di dire, con l’orgoglio dei diseredati, che si tratta di atleti a un livello decisamente più elevato rispetto a chi tira calci a un pallone.
Con ciò, saremmo ottusi se negassimo il fatto che il calcio rimane uno sport bellissimo e spettacolare, e che dunque non è un caso se muove attorno a sé un business miliardario. Del quale fanno paradossalmente parte, pur contestandolo spesso radicalmente, i tifosi più accesi, che per semplificare potremmo chiamare ultras.
Proprio a loro James Montague dedica un corposo volume, uscito ora in Italia per 66thand2nd (marzo 2024, traduzione di Leonardo Taiuti): Fra gli ultras. Viaggio nel tifo estremo.
Il sito dell’editore, mentre scriviamo, è in manutenzione, perciò vi rimandiamo al post su Instagram dedicato al libro.
L’autore
James Montague è uno scrittore e giornalista inglese. Ha collaborato con il New York Times, The Athletic, Tifo, Delayed Gratification, la Cnn e il Bbc World Service.
È autore di quattro volumi, con cui ha vinto due volte il premio per il miglior libro sul calcio al British Sports Book of the Year Awards.
Ed è stato un ultras.
Fra gli ultras. La prospettiva del libro
Particolare non secondario, il fatto che l’autore sia stato uno di quei tifosi estremi di cui egli stesso scrive. E che forse rappresenta il limite del libro: Montague spesse volte scivola nell’autocompiacimento, mostrando un’eccessiva e un po’ infantile fascinazione nei confronti delle tifoserie con cui di volta in volta entra in contatto.
Perché, e questo è al contrario il punto di forza del volume, Fra gli ultras è proprio, come recita il sottotitolo, un viaggio nel tifo estremo: l’autore ha frequentato per un certo periodo le frange più radicali di una quantità di tifoserie organizzate di tutto il mondo.
Ne scaturisce una categoria di tifoso difficilmente incasellabile. Pochi i denominatori comuni tra i vari gruppi di ultras: tra questi, il fatto che si tratta di “una cultura che ha sviluppato le proprie regole, che ha vissuto al di fuori della legge o, quantomeno, in perenne contrasto con essa. […] La loro è una realtà dominata dagli uomini, fortemente patriarcale, e con un’indole violenta, che ha offerto uno spazio politico al dissenso e ha alimentato, e vinto, rivoluzioni” (p. 15).
Gli ultras
Fra gli ultras è indubbiamente ricchissimo di dati e aneddoti più o meno noti.
Leggiamo ad esempio del carattere estremamente violento del tifo organizzato in America Latina: basti pensare che dal 1922 a oggi, in Argentina, i morti legati al tifo calcistico sono 332, e decine di migliaia i feriti.
Frequenti i legami tra calcio e politica. Si pensi ai Delije, i tifosi della Stella Rossa, e al fatto che Željko Ražnatović, detto Arkan, frequentasse la curva e lì reclutasse parte delle sue Tigri, le milizie serbe che operavano in Croazia e Bosnia.
Viene citato poi un episodio ancora rintracciabile in rete, l’invasione di campo di Ivan Savvidis, presidente della squadra greca del Paok Salonicco, che dopo un rigore negato alla sua squadra ha preteso che i suoi giocatori interrompessero la partita. La sua azione ha scatenato un putiferio, specie perché Savvidis teneva in bella vista una pistola nella fondina.
Forse, chissà, la definizione più corretta di cosa significhi essere ultras, Montague la fornisce in chiusura di volume: “Una specie di nobile morale autodistruttiva da seguire fino alla fine, anche fino alla propria rovina” (p. 381).
Oppure dobbiamo tornare al meno nobile paradosso cui accennavamo all’inizio: anche i tifosi più estremi non sono che una delle tante tipologie di attori che dà vita allo sgargiante spettacolo del calcio. Insomma: sono essi stessi parte di ciò che pretenderebbero di combattere.
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