Ogni tanto noi podisti, quando partecipiamo a una gara, superiamo (o veniamo superati da) un qualche personaggio strampalato che ancheggia, sgomita vistosamente e anziché distendere la falcata si lascia andare a curiosi passettini che metterebbero alla prova anche la tenuta nervosa del più serafico degli spettatori.
Sono loro: i marciatori.
Scherzi a parte, la marcia affascina molti e desta perplessità in alcuni per la sua singolare resa estetica, come già si può leggere dalla definizione che della disciplina dà Wikipedia: “È un gesto atletico apparentemente innaturale e può essere definita come una forma evoluta ed agonistica del cammino.”
Ma al di là di ciò che ciascuno possa pensare di questo nobilissimo sport, di certo la marcia ha fatto parlare di sé in questi ultimi anni in Italia, perché rappresentata da un personaggio tanto talentuoso quanto controverso: Alex Schwazer.
Dopo il traguardo
È da poco uscito per Feltrinelli (novembre 2021) Dopo il traguardo, autobiografia del grande marciatore di Vipiteno, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Pechino del 2018 nella specialità dei 50 chilometri.
Schwazer racconta la sua vita e la sua carriera con grande onestà, passando in rassegna gioie e cadute, soffermandosi con altrettanta lucidità sulle proprie virtù e i propri limiti.
Scopriamo così un giovane sportivo dalla dotazione atletica eccezionale (parliamo di un tizio con ventotto battiti a riposo: non dirò più di essere bradicardico), pervicacemente concentrato sull’allenamento, ma direi piuttosto sulla fatica. Che fin da ragazzo eccelle in diverse discipline, dall’hockey su ghiaccio alla corsa. Finché una brutta caduta in bicicletta, appena approdato in una squadra di ciclismo semiprofessionistico, non lo fa stabilizzare definitivamente sulla marcia.
Che gli regala prestazioni sempre più eccellenti e risultati internazionali sempre più prestigiosi. L’anno della consacrazione è il 2005, quando nella 50 chilometri arrivano prima la vittoria al campionato italiano e poi il bronzo ai mondiali di Helsinki. Fino all’oro di Pechino del 2008, impreziosito dal primato olimpico.
Dopo il traguardo ci parla anche della relazione di Alex Schwazer con la pattinatrice Carolina Kostner. Ma soprattutto di un ragazzo che non conosce pressoché alcun modo di vivere differente da quello del praticare sport: “Dopo i trenta chilometri del mattino, mi facevo una doccia, pranzavo e andavo a letto. Dopo i dieci chilometri del pomeriggio, mi facevo una doccia, cenavo e andavo a letto”, p. 79.
Le due positività
In Italia non ne ha fatto mistero nessuno, e anche nella propria autobiografia Schwazer dedica abbondante spazio all’argomento che lo ha reso celebre, più delle sue imprese sportive: il doping.
Per quanto riguarda prima positività, quella riscontrata il 6 agosto 2012, è facile sbarazzarci del discorso: è stato un clamoroso errore dell’atleta. Che, arrivato ai vertici mondiali del suo sport e scoperto quanti colleghi facessero uso di sostanze illecite, è rimasto invischiato in un ragionamento assurdo e pericoloso: “voglio gareggiare alla pari” (p. 121). Il racconto di come Schwazer si sia procurato l’EPO, e come abbia mentito anche alle persone più care, viene sviluppato senza reticenze.
Poi si arriva all’episodio del 21 giugno del 2016, la seconda positività, mentre il marciatore era seguito da Sandro Donati, l’allenatore simbolo proprio della lotta al doping.
Qui ci fermiamo e ci avviamo a concludere la recensione del volume. Per non unirci al coro di troppi italiani che, come spesso accade, preferiscono schierarsi che informarsi. Forse si può aggiungere che la lettura di Dopo il traguardo, nei cui capitoli finali è spiegato bene cosa sia accaduto da quel 21 giugno a oggi, instillerebbe qualche dubbio in più a chi ha archiviato Alex Schwazer come un drogato con un talento che non avrebbe meritato. Si consiglia anche la lettura e l’ascolto dei tanti interventi di Sandro Donati (in questo specifico ambito e non solo), o un’indagine sulla sua biografia.
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