La mia (quasi) maratona di Pisa

Bentrovati. Come ho anticipato qui, domenica 15 dicembre ho corso a Pisa la mia sesta maratona; e per la prima volta mi sono ritirato. Questo articolo, dunque, sarà inevitabilmente agrodolce: a una prima parte entusiastica, che riguarderà la Maratona di Pisa in sé, ne seguirà una mesta, che darà conto della Maratona di Pisa… in me.

La Maratona di Pisa

Sono un corridore modesto e incostante, ma – quanto meno – poco incline ad accampare alibi. Perciò posso ben dire che il primo ritiro della mia “carriera” podistica ha coinciso, dannazione, con una maratona bellissima. Al di là dell’organizzazione scrupolosa, all’expo era palpabile tra lo staff un entusiasmo autentico (nonostante gli organizzatori di una gara podistica, e ne so qualcosa in prima persona, arrivino a ridosso dell’evento con una stanchezza psicofisica davvero da pb); tutto, poi, mi ha restituito l’idea di una manifestazione a misura d’uomo: non certo una maratona improvvisata, con pochi iscritti e un personale estemporaneo, ma neppure una maratona-evento, con numeri e spazi espositivi vertiginosi ma spesso manchevole dal punto di vista del calore umano.

A Pisa – tra maratona, mezza e non competitive di 3, 7 e 14 km – si sono raggiunti circa quattromila iscritti, un buon numero per non sentirsi mai soli ma pure per non patire mai la sensazione di essere capitati tra il pubblico di un concerto rock.

Eccoci alla domenica della gara. Dopo alcuni giorni di temperatura decisamente rigida, alla partenza – fissata alle ore nove – c’erano un’umidità elevata e una dozzina di gradi, che sarebbero poi saliti fino a sedici intorno a mezzogiorno. Affacciandoci brevemente sulla seconda metà dell’articolo, potrei forse indicare questo repentino cambiamento climatico come unico (e relativissimo) fattore esterno che ha influito sul mio ritiro.

Il percorso della Maratona di Pisa è celebre tra noi amatori per essere davvero veloce, piatto e con pochi cambi di direzione: si parte nei pressi di Piazza del Duomo, si passa per i lungarni, si attraversano luoghi suggestivi come San Piero a Grado e il Parco di San Rossore, si arriva alla Marina di Pisa e si rientra verso lo spettacolare arrivo – per chi lo ha vissuto – sotto la Torre.

Durante i miei ventinove chilometri di gara, mi è parso funzionare tutto: le strade (spauracchio numero uno degli organizzatori) erano scrupolosamente presidiate, inoltre alcuni volontari hanno affrontato con risolutezza un paio di automobilisti non troppo inclini alle manifestazioni podistiche; i ristori erano puntuali e il personale solerte; qui e là, poi, non è mancato chi ha incitato i corridori.

Un’unica stonatura mi sento di addebitarla alla stampa: un podista è morto soffocato da un boccone di cibo in un ristorante nei dintorni dell’arrivo, dopo aver corso la mezza maratona; la disgrazia è evidentemente del tutto slegata dall’evento podistico, a differenza di ciò che campeggiava nei titoli (quanto meno ambigui) apparsi in rete già nelle ore successive alla tragedia, e l’indomani sui giornali cartacei.

Il mio ritiro

È passato un numero sufficiente di giorni da permettermi di tornare a cuor leggero sul mio ritiro. Un ritiro inatteso, va detto, e proprio per questo in un certo senso ancor più affascinante: per quanto si prepari con scrupolo la gara regina, c’è sempre una quota di aleatorietà su cui ci è impossibile intervenire. O forse, chissà, proprio l’averla preparata bene mi ha fatto tenere un ritmo appena troppo alto rispetto alle mie possibilità, e già ai due terzi di gara la maratona mi ha mostrato il conto. Nulla a che vedere col famigerato muro, ma una sensazione di vuoto fisico e mentale che mi ha fatto immaginare come lontanissimo, irraggiungibile, il traguardo.

Ne ho scritto di recente in un volume, e adesso la pratica conferma la teoria: la corsa sulle lunghe distanze insegna anche a perdere, insegna che non possiamo avanzare alcuna pretesa di dominio sulle cose del mondo, non c’è sicurezza dell’ottenimento di nessun risultato. E meno male: pensate quanto sarebbe noiosa la vita se i conti tornassero sempre…

Ciò non significa che io non abbia un conto aperto con la splendida Maratona di Pisa: magari ci riproverò l’anno prossimo; e magari, chissà, in vostra compagnia!



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Claudio Bagnasco
Claudio Bagnasco è nato a Genova nel 1975. Suoi brani narrativi e saggistici sono apparsi su vari blog e riviste. Ha pubblicato alcuni libri, tra cui i romanzi "Silvia che seppellisce i morti" (Il Maestrale 2010) e "Gli inseguiti" (CartaCanta 2019), e la raccolta di racconti "In un corpo solo" (Quarup 2011). Ha curato il volume "Dato il posto in cui ci troviamo. Racconti dal carcere di Marassi" (Il Canneto 2013). Il 31 ottobre 2019 è uscito il suo saggio "Runningsofia. Filosofia della corsa" (il Melangolo, seconda edizione 2021). Con Giovanna Piazza ha ideato e cura il blog letterario "Squadernauti". Ha ideato Bed&Runfast, il punto d'incontro fra il mondo del podismo e quello delle strutture ricettive. Ha raccolto parte delle sue scritture nel sito personale claudiobagnasco.com. Dal 2013 abita a Tortolì, dove gestisce un B&B con la sua compagna, corregge testi, insegna le parole difficili a sua figlia e corre.