Immaginate un podista che si chiami Claudio (il nome, naturalmente, è di fantasia). Costui, dopo che per mesi e mesi pressoché tutte le gare sono state annullate, l’ultima domenica di maggio potrà finalmente correre una maratona.
E si prepara bene. Cioè: si prepara al meglio delle proprie possibilità.
I suoi quattro allenamenti settimanali, un’alimentazione ragionevolmente sana, una vita senza eccessivi sussulti.
Ogni tanto, Claudio ricontrolla il sito ufficiale della maratona, per essere certo che anche questa competizione non venga annullata. Ma nel frattempo i dati sulla pandemia sono sempre più incoraggianti (o meglio, sempre meno scoraggianti) fino a che, arrivati a un mese dalla gara, la notizia è ufficiale: si correrà.
Claudio allora si allena con rinnovato entusiasmo, anche se non mancano i dubbi. Come andrà, dopo tutto questo tempo senza essersi appuntato un pettorale? Come sarà realmente la mia condizione di forma, si domanda? Gli sembra di essere invecchiato di più e peggio, nei mesi della pandemia: poche le cose fatte e le persone viste (e come avrebbe potuto, d’altronde?) e troppi, invece, i pensieri negativi, malinconici (e come non avrebbe potuto, d’altronde?)
Poi Claudio sorride, perché pensa: guarda un po’, si sta avvicinando il giorno della gara e mi ero dimenticato di quanti alibi è in grado di prepararsi un podista, per sfoderarli nel caso in cui le cose non andassero nel migliore dei modi.
Nel frattempo, il chilometraggio dei suoi allenamenti si fa più cospicuo di settimana in settimana. Le ripetute brevi scompaiono dalla tabella e al loro posto trovano spazio le ripetute col recupero a ritmo maratona, che a Claudio piacciono tanto.
Una domenica sì e una no, ecco i lunghissimi. Ventiquattro, ventotto, trenta chilometri. Claudio li corre bene, finendo sempre in spinta. Sorprendentemente, patisce meno il lunghissimo di trenta rispetto a quello di ventotto.
Poi arrivano i trentadue, il primo vero test importante. Claudio fa un buon allenamento, nonostante qualche difficoltà nell’ultimo chilometro. Ma inizia a fare caldo, nota Claudio. E perbacco, no, aggiunge subito dopo: questo non è un alibi. Sono partito con diciotto gradi e rientrato con venticinque.
Dopo di che.
L’ultimo lunghissimo
Dopo di che, è impossibile rimandarlo, c’è il suo spauracchio. L’ultimo lunghissimo, quello di trentasei chilometri.
Solo una volta Claudio è riuscito a correrlo tutto, in progressione, con splendide sensazioni. Le altre – vuoi per la stanchezza, vuoi per il vento, vuoi per questo o quell’altro motivo – si è sempre fermato prima. A trentacinque, a trentaquattro, una volta addirittura a trentuno.
Lo consola sapere che le due sue migliori maratone (una come riscontro cronometrico, l’altra come tenuta psicofisica) le ha corse dopo aver bucato l’ultimo lunghissimo.
Ma quanti ragionamenti, si sgrida Claudio: devo ancora correrlo!
E la mattina prefissata lo corre. Fa caldo. Alle 8 ci sono già ventidue gradi, e verso l’ora di pranzo ne sono previsti trenta.
Claudio fa i primi dieci chilometri cercando di bere più del solito. Si sente affaticato. Arriva al quindicesimo. Dal ventesimo dovrebbe accelerare di qualche secondo, ma non riesce, o non vuole: accelererò più in là, dice tra sé.
Dal ventiduesimo in poi, ogni chilometro sembra lungo un chilometro e mezzo. Sta per succedere una cosa pericolosa: al ventottesimo Claudio passerà sotto la propria abitazione.
Per rifuggire la tentazione di rincasare, Claudio accelera. Troppo. Il bip del ventinovesimo segna 7 secondi in meno del dovuto. Un’enormità, quando le energie cominciano a scarseggiare. E caspita se oggi scarseggiano. Claudio si impone un percorso che lo allontanerà da casa di due chilometri. Due ad andare due a tornare sono quattro, e ventotto più quattro fa trentadue. Così, dice Claudio a Claudio, almeno trentadue li avrò fatti. I due dell’andata li corre bene, a un buon ritmo. Ma sa che sta dando fondo alle ultime energie. Il semplice gesto di voltarsi per tornare indietro gli sembra faticoso in modo grottesco. Il primo dei due chilometri del ritorno lo fa piano, male, controvoglia. Il bip dice che è stato davvero troppo lento. Ma devo levare almeno cinque secondi per il fatto di essermi girato per rientrare, esagera Claudio.
Il trentaduesimo gli esce meglio. Ma è allo stremo. Fa un caldo orrendo. Ma no, si impunta Claudio: trentadue li ho fatti due domeniche fa. E trovando forze che non credeva di avere, corre fino al trentatreesimo.
Lungo il chilometro del ritorno a casa, Claudio fa cinque allunghi (e per poco non urla dal dolore) e si domanda se trentatré chilometri basteranno per chiudere dignitosamente la maratona. Gli viene da piangere e da ridere assieme.
Il nome (di fantasia, eh?) che abbiamo scelto per questo raccontino è Claudio, ma abbiamo il sospetto che ogni maratoneta amatoriale potrebbe sostituirlo col proprio.
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