Benché una norma della buona educazione preveda di non intrufolarsi nelle faccende delle altrui famiglie, viene da pensare che Kilian Jornet (di cui abbiamo appena recensito, qui, Niente è impossibile) ed Emelie Forsberg non siano davvero compagni di vita per caso: sorprende infatti la loro identità di vedute sull’esistenza e sulla pratica sportiva, che secondo la prospettiva esistenziale dei due fuoriclasse sono pressoché coincidenti.
Chi è Emelie Forsberg
Nata in Svezia nel 1986, Emelie Forsberg si è avvicinata al professionismo sportivo solo nel 2012 ma da allora non ha perso tempo: campionessa mondiale di skyrunning nel 2014 e nel 2015, è anche una validissima atleta di scialpinismo, disciplina per la quale ha vinto svariati titoli, soprattutto nel corso del 2017. Emelie ha pubblicato un libro, di cui oggi vi parleremo brevemente, apparso nel 2019 in lingua italiana presso Mulatero (nella traduzione di Claudio Primavesi): Correre, vivere.
Correre, vivere
Dicevamo della sorprendente corrispondenza tra lo spirito di Emelie Forsberg e quello del suo compagno, Kilian Jornet; spirito ben riassumibile nel titolo dell’opera della Forsberg, che dà conto di una sovrapposizione quasi perfetta tra corsa (e preparazione a essa) e vita.
Nel volume, corredato da suggestive fotografie scattate proprio da Jornet, Emelie racconta le emozioni vissute durante alcune importanti gare, somministra (ma in modo sempre leggero e mai cattedratico) alcune pillole di filosofia sportiva e non solo, oltre a non disdegnare il suggerimento di alcuni esercizi fisici e addirittura di ghiotte ricette vegetariane che, vista la qualità delle sue performance, dovrebbero entrare a buon diritto nella dieta di ogni atleta di endurance. La vita, dicevamo, è per lei corsa o preparazione a essa: appare dunque coerente la scelta di dedicare spazio ad appunti sull’alimentazione, gli esercizi propedeutici allo sport, il rilassamento e infine la meditazione.
Nella prefazione, la Forsberg esplicita subito la natura del libro e conferma le nostre impressioni: “È una dichiarazione d’amore per la corsa. E, visto che la corsa è vita, è anche una dichiarazione d’amore per la vita stessa”, p. 6.
Ci sono pagine piene di stupore (per esempio, il ricordo di quando la giovane skyrunner scopre che la propria passione potrà diventare un mestiere) e altre che rivelano una sorprendente maturità (quando Emelie afferma la sua risolutezza nel convincere gli sponsor a non coinvolgerla in eventi o situazioni lontani dalla propria indole).
C’è poi un lungo capitolo nel quale l’atleta esprime la propria gioia nel coltivare i prodotti dell’orto domestico, con alcuni persuasivi parallelismi tra i tempi lunghi della coltivazione in senso stretto e quella nell’accezione metaforica: seguire i prodotti della natura, così come preparare una gara di endurance, richiede pazienza, capacità di programmazione e solidità psicologica in caso di esito negativo.
I resoconti di imprese sportive anche durissime non sono mai restituiti con superbia; denotano anzi un grande garbo, un bel senso della misura, della propria esiguità di fronte alla vastità del mondo: “Il pensiero che esista qualcosa di così grande ed eterno rende la vita sufficientemente semplice”, p. 162.
Due elementi solo all’apparenza contraddittori confermano semmai il carattere di questa biografia atipica, quasi sussurrata, in cui la testimonianza di una professionista dello sport dalle doti eccezionali coesiste con una serenità rara, che sembra derivare dalla precisa consapevolezza della propria posizione nell’universo (verrebbe quasi da dire della propria missione): ampio spazio, nel testo, è dato al racconto di una sconfitta sportiva, vissuta non come un fallimento ma come una prova, il cui senso ultimo risiede nel suo svolgimento e non nel risultato; mentre le immagini catturerebbero l’attenzione anche del lettore più distratto: non ce n’è una in cui Emelie Forsberg non sorrida di un sorriso pieno, sincero, pacificato.