Sì, va bene, correre per divertirsi. Per tenersi in forma, per ritagliarsi momenti di introspezione, per contrastare la sedentarietà delle nostre vite, e per tutti gli altri motivi virtuosi che conosciamo a memoria. Noi siamo podisti amatori giudiziosissimi, che non si montano la testa, conoscono i propri limiti. A noi bastano i nostri tre o quattro allenamenti settimanali, a ritmi sempre più blandi (perché tra le altri accadimenti della vita c’è anche questa cosa qua dell’invecchiare), per essere felici.
Macché, mica vero. Ogni volta che guardiamo una maratona in televisione sogniamo di essere nel gruppo di testa. E malediciamo la nostra dotazione genetica del tutto dozzinale (anche se chi ha cominciato a correre in età adulta può sempre accampare l’alibi Se avessi iniziato da bambino…)
Michael Crawley
Beh, c’è chi lo sfizio di correre assieme a quelli bravi se l’è tolto davvero. Certo, ha potuto farlo perché piuttosto bravo anche lui: parliamo di Michael Crawley, un amatore evoluto, che vanta un crono di un’ora e sei minuti in mezza maratona e di due ore e venti minuti in maratona.
Crawley, giovane antropologo inglese che insegna alla Durham University, nel 2019 ha vinto un dottorato di ricerca all’Università di Edimburgo. Che gli ha permesso di vivere per quindici mesi in Etiopia, dove ha corso con podisti di primissimo livello e di altri appena meno dotati, che macinano chilometri nella speranza di potersi, un giorno, emancipare socialmente ed economicamente grazie alla corsa.
Da questa esperienza umana e sportiva Michael Crawley ha tratto un volume, uscito ora in Italia (aprile 2022, traduzione di Paolo Falcone) per add editore: Correndo nell’aria sottile.
Correndo nell’aria sottile
“Non sono ancora le 7.30 e ho già corso venti chilometri. Il sole è sorto su Addis Abeba, siamo tornati in tempo per vedere il gruppo principale sfrecciare su e giù lungo un pendio ripido per le ripetute post-corsa e già mi ricordo perché amo tutto questo” (p. 19).
Questo breve estratto dà la misura e la prospettiva dell’intero libro. Durante la sua permanenza in Etiopia, Crawley conoscerà (e noi podisti sappiamo quanto si conoscano davvero gli altri, correndo con loro) formidabili atleti, giovane promesse, vecchi leoni sul viale del tramonto ed ex campioni oggi allenatori. Oltre a una nutritissima schiera di podisti che si sottopongono a durissime piani di allenamenti perché la corsa possa diventare la loro vita, il loro mestiere.
Dicotomia e bellezza
Crawley riesce a bene a rendere un certo atteggiamento schizofrenico dei corridori etiopi, presi da una parte da una certa avidità di successo e denaro. Ma dall’altra devoti alla disciplina e alla fatica, a una sequenza inesauribile di sessioni di corsa spesso svolte ben prima dell’alba, che somigliano piuttosto a “un sistema morale che ricompensa particolari tipi di lavoro e di sacrificio”, p. 174.
Anche il senso di appartenenza al gruppo di podisti cui si appartiene, molto sentita in Etiopia, potrebbe avere una motivazione nobilissima. Oppure, a voler essere maliziosi, molto opportunistica. “Se gli scienziati dello sport e, immagino, la maggior parte dei runner occidentali tendono a pensare che il potenziale di un individuo sia indipendente e confinato all’interno di ciascun corpo, in Etiopia l’energia è invece considerata transcorporea: può scorrere tra le persone, essere condivisa e a volte anche rubata. Un corridore, dunque, costruisce e mantiene la sua condizione attraverso i rapporti con gli altri e attraverso la condivisione del cibo e del ritmo in allenamento”, p. 187-8.
Benché un po’ monocorde nella presentazione dei personaggi e delle sedute di allenamento, Correndo nell’aria sottile resta una bella e vivida testimonianza di un Paese in cui la corsa ha assunto una valenza sociale, quasi religiosa. Con tutte le suggestioni e i rischi che ciò implica.
Di certo, a svettare – al di là di ogni dicotomia e contraddittorietà che risiedono a… piani inferiori – è la bellezza della corsa. Che, così per i modesti amatori come per i migliori campioni, tanto più restituisce in termini di pacificazione con sé e col mondo quanto più prende in termini di dedizione ed energie profuse. Ed è un motivo non piccolo, ci pare, per leggere Correndo nell’aria sottile.
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