Oggi, amici podisti, inizio la preparazione per la Maratona di Pisa, che si terrà domenica 15 dicembre.
Sarà la mia sesta gara regina. Di solito, i programmi di allenamento di Fulvio Massini in vista di una maratona mi impegnano per dodici settimane, ma stavolta me la prenderò comoda per due motivi: correrò due mezze maratone autunnali (una delle quali sarà l’Alghero Half Marathon del 29 settembre, di cui ho parlato qui), e da un paio di mesi sono in un periodo di forma psicofisica decisamente non tra i migliori.
Perciò non vedo l’ora di immergermi in una tabella che si preannuncia davvero impegnativa (almeno per le mie modeste qualità atletiche e per le altrettanto modeste velleità cronometriche), con l’augurio di arrivare a fine settembre, e poi a metà dicembre, in condizioni dignitose. Qui a Tortolì fa ancora un gran caldo ma da oggi si ricomincia, sono motivatissimo e non ho nessuna intenzione di accampare alibi.
Non è vero niente. Non ne ho voglia, Non ce la farò mai e Chi me l’ha fatto fare sono le tre frasi più ricorrenti da quando, la scorsa settimana, Fulvio mi ha inviato il programma d’allenamento. Da metà giugno fatico a correre anche dieci chilometri di lento, faccio le ripetute sui duecento metri al ritmo con cui in inverno eseguo quelle sui cinquecento, gli sprint in salita mi sembrano montagne da scalare, e il paio di volte in cui ho superato i quattordici chilometri sono stato preda di visioni mistiche. E quattordici chilometri sono un terzo di una maratona.
Chi di voi non ha mai avuto pensieri simili, quando si appresta a preparare una gara sui quarantadue chilometri?
Quello che ho scritto è tutto vero, i miei timori e la mia sfiducia sono reali; ma come dico che è tutto vero dico pure che – in un certo senso – non è vero niente: perché so che intraprendendo questo entusiasmante cammino lungo sedici settimane, il mio corpo e la mia mente saranno sempre più allenati, impareranno poco alla volta a fidarsi l’uno dell’altra, sino alla mattina di domenica 15 dicembre 2019. E poi, andrà come andrà.
Ecco perché dico a tutti (a tutti coloro, precisiamo, che hanno ottenuto l’idoneità all’attività sportiva agonistica) che bisogna correre almeno una maratona nella vita. La maratona insegna a programmare, a rimandare il piacere, a impegnarsi strenuamente per settimane in previsione di un obiettivo che – peraltro – non siamo affatto sicuri di raggiungere. La maratona, quindi, insegna anche a fallire.
La maratona, o meglio la preparazione di una maratona, insegna inoltre la disciplina, la pazienza; insegna a conoscere meglio – e ad amare – il silenzio e la solitudine. Insegna, poi, a sopportare la fatica; o meglio, ci ricorda sulla nostra pelle (le metafore non se le fila nessuno, ma quando è il corpo a sentire qualcosa, la nostra attenzione è sempre lesta) che la fatica è elemento costitutivo e ineludibile di qualunque impresa, grande o piccola che sia.
La maratona – fatemi continuare, ormai ho preso il ritmo – insegna anche, in questa contemporaneità insensata per cui si fa tutto per uno scopo, un guadagno, un avanzamento o qualche grammo di visibilità, la bellezza delle cose inutili. Cosa importa al mondo se a Pisa chiuderò impiegando due minuti in più o due in meno?
La maratona ci dà la misura di chi siamo, di quello che possiamo e non possiamo fare, ed è dunque un’ottima medicina sia contro gli impulsi depressivi che – al contrario – contro le tentazioni narcisistiche.
La maratona, infine, è bellissima perché dopo settimane di privazioni alimentari si possono finalmente mangiare cibi spazzatura, e ci si può ubriacare sconciamente.
Macché. Ci si prova, ogni volta che si va a cena la sera di una maratona, ma si è così stanchi – e così abituati a nutrirsi bene – che bastano quattro patatine fritte e due bicchieri di vino a metterci al tappeto.
Vi aspetto a Pisa, chi mi farà compagnia?
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