Running

La mia perversione si chiama RRM

Cari amici podisti e non, oggi vi farò una turpe confessione. Voi non potete immaginare quanto mi piace, nell’ultima parte della preparazione di una maratona, correre le ripetute col recupero a ritmo maratona… Questo tipo di allenamento viene chiamato, con acronimo non proprio dei più sexy, RRM. E adesso – non preoccupatevi – vi spiego subito di che cosa si tratta.

RRM, cosa sono?

Le ripetute con recupero a ritmo maratona pare siano state inventate in Italia negli anni Ottanta del Novecento da un gruppo di allenatori del calibro di Lucio Gigliotti, Renato Canova e Giampaolo Lenzi.

È da loro che il mio coach, Fulvio Massini, ne ha appreso l’importanza, e ora va somministrandole a buona parte degli amatori che allena e che preparano la cosiddetta gara regina.

Perché si corrono? Ora do una spiegazione tecnica, cui farò seguire una traduzione per i non addetti ai lavori. Dunque: le RRM vengono annoverate un po’ impropriamente fra le ripetute. Perché? Perché nel tratto veloce si corre al ritmo della mezza maratona o appena più velocemente, ma l’importante è indovinare il recupero, dove bisogna fare attenzione a non rilassarsi eccessivamente, e correre appunto al ritmo della maratona. Le RRM si possono eseguire su diverse distanze, ma la misura classica prevede che si corrano dalle cinque alle sette ripetizioni sui mille metri, con recupero di uguale lunghezza. Servono ad abituare il fisico a sostenere il ritmo della maratona metabolizzando piccole quantità di lattato, quindi aiutano a sviluppare la potenza lipidica.

Traduzione: abituandosi a correre al ritmo della maratona un po’ affaticati dalla ripetuta a ritmo pressappoco della mezza maratona, quando poi il ritmo maratona si terrà costantemente per svariati chilometri (sì, sto parlando dei mitici lunghissimi), si avranno non piccoli benefici psicofisici. Brutalizzando: è come correre con dei pesi alle caviglie e nell’allenamento successivo correre alla stessa velocità ma senza pesi.

Perché mi piacciono

Le RRM mi piacciono, intanto, perché eseguendole sento che la maratona si sta avvicinando: lo sento proprio nel mio fisico, che si abitua sempre più a familiarizzare col passo giusto, a fare cioè amico il ritmo che dovrò tenere per quarantadue chilometri e centonovantacinque metri.

Ma soprattutto le RRM, ed ecco il motivo per cui questo tipo di allenamento mi piace così tanto, creano una sorta di cortocircuito mentale, per cui mi sembra di riposare nel tratto che corro a velocità maggiore (e che, essendo più o meno eseguito al ritmo della mezza maratona, richiede sì un certo impegno, ma un impegno di certo sostenibile). Mentre nella parte di recupero, che – ripetiamo – bisogna interpretare correttamente, sforzandosi di non rallentare troppo, avverto la fatica, la cullo e studio, insomma intuisco ciò che succederà in gara da lì a qualche settimana. Prendo appunti mentali, come fa dire il grande Don Winslow ai suoi personaggi.

La maratona, così come la preparazione a essa, è una meravigliosa avventura disseminata di baratri e di possibilità di prendere contromisure (anche di crearsi alibi e vie di fuga, ad averne voglia); ed è tutto giocato sulla nostra tenuta fisica e mentale, è tutto vissuto sulla nostra pelle. Nelle RRM, dove c’è un curioso scambio di ruoli tra il facile e il difficile, tra lavoro e riposo, si fanno le prove generali di quell’irripetibile campionario di emozioni che – con un’intensità ben maggiore – ci investiranno il giorno della gara regina. Nel lunghissimo le emozioni assumono la veste di un irresistibile crescendo, mentre qui si alternano con una frequenza che ci ubriaca di bellezza e di mistero. Se il lunghissimo ci mostra il pericolo della maratona, le RRM ce ne fanno presentire la natura di evento straordinario.

Ma davvero voi non avete ancora corso una?

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