La notizia della morte di Gianluca Vialli mi ha colto nell’ultimo giorno del solito soggiorno natalizio nella mia città natale, Genova, mentre andavo a fare l’altrettanto solita scorta di focaccia che avrei portato in Sardegna.
La consuetudine dei miei gesti d’addio (un addio relativo e replicabile) ha subito lasciato il posto a quello, doloroso e definitivo, a una delle figure emblematiche della mia adolescenza di tifoso blucerchiato.
Come è capitato a molti, tifosi o meno che siano, è solo nei giorni successivi a quel 6 gennaio che ho potuto comprendere sino in fondo la lacerazione provocata dalla scomparsa di un giocatore eccezionale per qualità tecniche e tempra umana. Oltre che, d’accordo, mio antico idolo sportivo.
Di rievocare la figura di Gianluca Vialli si è occupato Marco Gaetani, già autore di un volume su Roberto Mancini che in questa rubrica abbiamo recensito.
Gianluca Vialli, l’uomo nell’arena è uscito nel febbraio del 2023 per i tipi di 66thand2nd. Ma non si tratta di un instant book: l’autore ha aggiornato un testo già evidentemente pronto da tempo con una sola breve nota iniziale, in cui dà conto delle ultime drammatiche settimane di Vialli.
Il resto è, come sempre capita con le opere di questo editore, una biografia documentata, appassionata e ben scritta.
Il libro di Gaetani, nella sua carrellata rigorosamente cronologica delle principali vicende sportive di Gianluca Vialli, ne indaga la complessità del carattere e le indiscutibili doti sportive.
Non c’è alcun ripiegamento nostalgico verso un emblema del calcio che fu. Anche perché rammemorare il Gianluca Vialli con i calzettoni abbassati sulle caviglie e senza parastinchi sarebbe un’operazione parziale e ingannevole. Perché Vialli non solo ha attraversato – prima da giocatore, poi da allenatore, infine da dirigente – quarant’anni di calcio professionistico. Ma anche perché Stradivialli (Marco Gaetani ci ricorda che un tempo Gianluca è stato chiamato anche così) è sempre stato ipermoderno, anticonformista, autonomo.
Se n’era accorta la neonata Sky, quando ha scelto lui come uomo immagine della prima e sontuosa campagna pubblicitaria.
L’uomo nell’arena mostra come, in ogni squadra in cui abbia giocato (Nazionale compresa: è noto, e nel libro ribadito, il suo rapporto non idilliaco con Arrigo Sacchi), Vialli abbia dovuto faticare per trovare la propria giusta collocazione, per confermare il proprio talento di fuoriclasse.
Lo ha fatto sempre con ammirevole tenacia e coerenza. E una certa spregiudicatezza, declinatasi talvolta in dichiarazioni spiazzanti alla stampa.
Aggiungo che, a lettura ultimata, viene da pensare a come i suoi molti (e spesso straordinari per fattura) gol rispecchino queste sue caratteristiche.
Difficile trovare una marcatura banale di Vialli. Difficile che una sua rete non sia spericolata e felicemente démodé, come le tante rovesciate, o declinazione di una pervicacia al confine con la stolidità, come i suoi gol di potenza, sovente in diagonale, col povero difensore di turno che gli si appendeva alla maglia invano.
Poi ci sarebbe da parlare dell’aspetto umano di Gianluca Vialli, un giovanotto proveniente dalla borghesia di Cremona, che da quegli agi sembra aver mantenuto più un certo decoro formale che non un’eventuale altezzosità.
Un ragazzo perbene, simpatico ed estroverso, burlone e imprevedibile. Che ha saputo mettere d’accordo suppergiù tutti gli amanti del calcio, ma pure chi si ostina a credere che anche gli sportivi professionisti possano produrre ragionamenti complessi.
Ci sarebbe da parlare di questo e di molto altro. Ma per me che scrivo, e che ho speso tante domeniche della mia gioventù a vederlo sgomitare e segnare per noi (a qualcuno questa citazione non suonerà peregrina) è meglio fermarsi qui, consegnare l’articolo e immalinconirsi dopo, evitando che ne facciate le spese voi lettori.
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