“Solo per un giorno”: correre, vivere

Stefano Baldini non solo è il più forte maratoneta che l’Italia abbia mai avuto, ma in svariate occasioni si è dimostrato anche un abilissimo divulgatore. Sulla copertina del suo Maratona per tutti (uscito nel 2009 per Mondadori) campeggia addirittura un ossimoro, coniato proprio dal nostro campione olimpico, che recita così: “42 km di corsa sono una grande impresa alla portata di tutti”.

Questa frase, nella sua sentenziosità, non smette di piacermi; non smette di sembrarmi la miglior sintesi del rapporto tra noi podisti amatori e la cosiddetta distanza regina.

Un runner dilettante che inizia la lunga e impegnativa preparazione per una maratona si domanda come far spazio alla corsa nella propria organizzazione quotidiana; salvo poi scoprire che gli allenamenti non solo si integrano perfettamente e naturalmente nella vita ma pure la informano di sé, danno un sottofondo e un ritmo ai piccoli e grandi appuntamenti che la compongono.

Solo per un giorno

Di questo parla in fondo Solo per un giorno, romanzo scritto da Massimiliano Boni e dato alle stampe da 66thand2nd nel 2015; il cui protagonista, consigliere alla Corte Costituzionale e scrittore, ha tutta l’aria di coincidere con l’autore.

Già nella primissima pagina dell’opera facciamo due scoperte: che Boni ha corso la sua prima maratona il 17 marzo del 2013 e la sua seconda il 24 marzo 2014; ma soprattutto che anche lui è passato da quell’autotradimento tipico del podista amatore: si è cioè ripromesso che – visti gli sforzi compiuti nella preparazione e nello svolgimento della prima maratona – non ne avrebbe mai corso una seconda, e puntualmente ha disatteso la promessa.

Comincia così questa narrazione sotto forma di diario, con tanto di indicazione della data ad apertura di ogni capitolo, sulla scorta di L’arte di correre di Murakami Haruki (Einaudi 2007). È un lento avvicinamento alla maratona di Roma del 24 marzo 2014, che prende le mosse addirittura dal 2 maggio 2013. E ci mostra aspetti della vita lavorativa, familiare e anche intima del protagonista, senza soluzione di continuità col resoconto di allenamenti e gare, e considerazioni sulla propria natura di podista; un podista solitario, incline alla fatica più che al gesto atleticamente ineccepibile, peculiarità che ha radice in un timore infantile e trova corrispondenza oggi in “una scrittura pietrosa”, come leggiamo a p. 32.

Uno dei momenti più suggestivi sfiora un altro degli interrogativi che almeno una volta ha visitato ciascun runner amatore: perché, correndo, sottrarre tempo ed energie ad altro? Perché, insomma, correre? Perché ostinarsi ad abbassare anche di pochi secondi il proprio personal best, crogiolandosi nell’illusione di un ringiovanimento fisico, quando ben sappiamo tutti che si va nella direzione opposta?

Magari perché correre è appunto un gesto di rifiuto, di strenua resistenza, nei confronti del processo di progressiva consunzione del nostro organismo. Troviamo scritto a p. 58: “Forse oggi corro per questo. Per fingere di essere ancora quel ragazzino che voleva girare il mondo. Corro per fingere che il tempo non passi, e per illudermi che il mio spirito sia quello di allora”.

Corsa e vita si fondono alla notizia della scomparsa di una persona cara all’autore, che proprio quel giorno si allenerà per contrapporre alla fine la testimonianza della propria esistenza fisica: “Avevo necessità di oppormi a questa idea, alla morte, e sfidarla, gridarle che no, che per me non è ancora tempo, che ho bisogno di vivere, di vivere tanto, perché ho ancora dei progetti su di me, sulla mia famiglia, e non intendo rinunciarci” (p. 116).

E così, tra eventi gioiosi e drammatici, tra allenamenti fruttuosi e altri deludenti, si arriva al giorno della maratona. Chiunque ne ha corsa una, sa che questa disciplina può riservare sorprese fino all’ultimo metro, e di più non svelo.

Mi limito ad aggiungere che anche Massimiliano Boni ha scoperto il nucleo più autentico, affascinante e scandaloso del preparare e correre una maratona: che è quello di trasgredire le leggi della causalità, della funzionalità, di dimenticare che usiamo il nostro corpo quasi unicamente per fare, servire, produrre: come ha scritto Paolo Maccagno nel suo bellissimo Lungo lento. Maratona e pratica del limite (di cui abbiamo parlato qui), “essere maratoneta è una fuga dal mondo nel mondo”.

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