Dall’8 al 13 giugno ho fatto un salto a Genova, dove sono nato e dove ritorno due-tre volte all’anno.
A Genova cerco di evitare di correre in strada. Perché, abitando a Tortolì, in Sardegna, sono abituato troppo bene: qui il traffico è davvero relativo, e quando mi ritrovo immerso nel caos di una città non nota per la fluida viabilità, mi sembra sempre un’impresa portare a casa la ghirba.
Limito dunque le uscite lungo il fiume Bisagno ad allenamenti brevi, che svolgo non appena albeggia (ma sono comunque preda dei clacson di automobilisti e scooteristi non troppo affabili).
Per il resto, allenarmi a Genova significa andare in una delle due piste cittadine: una è la Sciorba che, come vi ho detto tempo fa, prediligevo perché più vicina a casa di mia madre. Ma da almeno un anno corro a Villa Gentile, che apre alle 8.00. E per me – animale mattutino – è un vantaggio non piccolo non dover sprecare mezza giornata per un allenamento.
Comunque. Ogni volta che corro in pista mi riprometto di parlarne o scrivere. Finalmente ci siamo.
La pista mi spaventa sempre un po’, come la segreteria telefonica: sembrano quelle invenzioni ingovernabili. Soprattutto le primissime volte, percepivo la pista come la casa dei podisti di alto livello, e mi chiedevo cosa sarebbe successo di me: mi avrebbero deriso, mi avrebbero impedito di terminare l’allenamento?
Immagino che il mio timore reverenziale sia nato dal fatto che la pista è il luogo in cui siamo abituati a vedere i maggiori eventi internazionali di atletica. Inoltre sì, in pista non è raro allenarsi assieme al meglio degli atleti locali, giovani e meno giovani.
Devo tuttavia ammettere che la paura della pista si è affievolita con gli anni, perché ho imparato a conoscere le varie tipologie di podisti che la bazzicano.
Non credo che ci siano grosse differenze tra i tipi umani che corrono in pista e quelli che si allenano in strada.
Cambia il fatto che in pista tutti hanno tutti sott’occhio, si ha modo di incrociare una buona quantità di volte gli altri corridori, e dunque di farsi meglio un’idea della loro indole.
In pista, diciamolo, c’è un’abbondante quantità di podisti narcisisti, a prescindere dal loro effettivo valore atletico. Sanno, loro come me, che la pista è il regno di chi va forte, ed evidentemente si illudono che basti frequentarla per rientrare come minimo nella categoria amatore evoluto.
Con l’aggravante che la pista è anche il luogo in cui spadroneggiano i numeri, come se l’orologio GPS non ci perseguitasse già a sufficienza in strada. E così, una sottocategoria dei podisti da pista che si prendono un po’ troppo sul serio è data da coloro i quali passano più tempo a calcolare in quanto hanno corso un determinato tratto che non a correre.
Naturalmente non mancano gli amatori di medio calibro, come me, che si affannano a fare del proprio meglio ma mostrano in maniera lampante tutta l’insofferenza di chi è costretto ad allenarsi sentendosi come un criceto.
Una buona percentuale è poi rappresentata da anziani che chiacchierano senza sosta, come se fossero su una panchina del parco o al dopolavoro ferroviario, alternando corsa e cammino: e mi pare un buon modo di affrontare la loro età.
Ecco infine i principianti assoluti, ignari della deontologia che vige in pista. Essi corrono a 6’30” al chilometro in seconda corsia (vietatissimo!) o macinano quindici chilometri andando in senso orario (non vietato ma quasi). E puntualmente vengono rimbrottati con modi spicci da uno degli habitué della pista in questione.
Ogni volta che penso alle piste di atletica, specie quelle collocate in città come Genova, non so se vederle come oasi di libertà all’interno del marasma cittadino, o come riserve indiane in cui i poveri podisti sono costretti a rinchiudersi per correre in sicurezza.
Certo: meglio di niente. La mia speranza è però quella di un mondo in cui tutti, per prime le amministrazioni, comprendano l’importanza di fare attività fisica, e allora ogni città avrà percorsi esclusivi per podisti e ciclisti, saremo tutti più in forma e più felici, e il pianeta sarà meno inquinato. Che bel sogno.
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