Ieri, in una pausa di dieci minuti tra una consegna lavorativa e l’altra, non ho fatto come le persone sagge, che staccano gli occhi dal computer e lasciano che lo sguardo si perda su orizzonti sconfinati, ascoltano Beethoven e sorseggiano una tisana al finocchio.
Sono rimasto piantato davanti allo schermo, a cazzeggiare lasciando che gli algoritmi malefici – di suggerimento in suggerimento – mi portassero alla deriva a loro piacimento. È vero, ci stiamo abbrutendo.
Ma devo dire che stavolta, dopo la deriva, c’è stato un dolce approdo. Da cui è scaturito un ragionamento che ho piacere di condividere con voi.
Cosa fa, chi corre, oltre la corsa?
Riavvolgiamo il nastro, e torniamo alla mia spericolata navigazione in Rete. A un certo punto sono approdato su un sito che vende standing desk, locuzione inglese che significa – né più né meno – scrivanie regolabili in altezza.
Non è mia intenzione, qui, parlarvi degli standing desk, ma appena mi sono imbattuto nel sito ho pensato: devo avere questo oggetto.
Poi ho pensato: lo sai come funziona. Sei nel momento di aggressione consumistica. Tra cinque minuti, a mente fredda, avrai derubricato questo aggeggio e lo avrai collocato nella casella fumo negli occhi, composta da gadget più o meno invitanti e, in definitiva, pressoché inutili.
Invece no, miei cari lettori. Passo diverse ore al giorno, almeno sei giorni alla settimana, appiccicato al computer. E l’idea di avere una scrivania che si alzi e abbassi, permettendomi così di stare un po’ seduto e un po’ in piedi, mi sembra una cosa ottima. Perché, anzi, non ci ho pensato prima?
Sono d’altronde la medesima persona che ha speso una fortuna – ma è un acquisto di cui non mi sono affatto pentito – per una sedia basculante, sapete, no?, quella con gli appoggi anteriori per le gambe? (Ne approfitto per ricordare, verificatelo qui se non ci credete, che la gamba sarebbe la parte di arto inferiore tra il ginocchio e il piede).
Le scrivanie regolabili, dunque. Ne acquisterò senz’altro una, e magari ve ne parlerò. Ma oggi voglio soffermarmi su un altro aspetto. Anzi, su due.
Cosa fa, appunto, chi corre, oltre la corsa?
E: tutti gli strumenti che ci vengono propinati per il nostro benessere, sono fuffa allo stesso modo?
Rispondiamo subito alla seconda domanda. Ma certo che no, che gli oggetti e oggettini che – sì – in larga parte cavalcano la moda del wellness, non sono tutti fuffa allo stesso modo.
Calze a compressione che migliorano le prestazioni podistiche del venticinque per cento? Fuffa. Braccialetti (ebbene sì, in commercio c’è anche questo) che aiutano l’equilibrio e la propriocezione? Fuffa, e della peggior specie.
Tuttavia, c’è anche chi – pur in una spietata ottica di business – mette sul mercato prodotti realmente validi. Gli standing desk, ad esempio, sono già largamente utilizzati nei Paesi del Nord Europa. Il benessere che si ricava dall’alternare la posizione da seduti a quella in piedi mi pare fin ovvio.
E quindi, tornando alla domanda principale: cosa facciamo, noi podisti, oltre la corsa?
Arrendiamoci a due verità, ragazzi. La prima: invecchiamo, e più passano gli anni più noi abbiamo necessità – oltre che degli amati chilometri – di una sempre crescente… manutenzione: esercizi di stretching, attenzione all’alimentazione, alla postura eccetera.
E poi, i nostri lavori sono sempre più all’insegna della sedentarietà. Per cui, ad esempio, dotarsi di una scrivania e una sedia confortevoli – per chi trascorre ore e ore nel proprio studio – significa semplicemente adottare misure improntate al buon senso e a un minimo di amore di sé.
Insomma: il mercato del benessere è fervido, e c’è una straordinaria offerta di prodotti, il novantacinque per cento dei quali non ci migliorerebbe l’esistenza di tanto così.
Come districarsi, dunque? Oh, beh, con un atteggiamento semplice: decidendo noi cosa è indispensabile per le nostre vite, e non facendocelo suggerire da altri.
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