Consigli

Morbi e virus, superfluo ed essenziale

L’amico e allenatore Fulvio Massini scherza sempre sul fatto che noi affetti dal morbo della corsa (sono parole sue) tendiamo a frequentarci in modo univoco, finendo per escludere i non podisti: e questo, che potrebbe sembrare un gesto di grande presunzione, è in realtà una forma di tutela verso chi non corre. Tentiamo, cioè, di proteggere gli stanziali dalla nostra ineludibile tendenza a parlare quasi soltanto dello sport che amiamo. Forse esiste una sola categoria umana più monocorde di noi: gli scacchisti.

Da qualche tempo, però, siamo alle prese con un virus altrettanto contagioso ma assai meno benevolo, come ci ricorda il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 9 marzo 2020 (il più recente per me che sto scrivendo), che tra le altre cose limita di molto gli spostamenti quotidiani nonché le attività sportive.

Interpretazione e sovrainterpretazione

Non so in quanti abbiano letto il saggio (minore) di Umberto Eco di cui ho appena citato il titolo. So, però, che le ansie di questi giorni svelano la nostra natura più profonda: è facilissimo scoprire, oggi, chi è ragionevole e chi irrazionale, chi è pavido, ansioso o al contrario rilassato sino alla strafottenza. C’è poi una percentuale di esseri umani, e sono tra coloro che tollero di meno, i quali si arrogano due diritti: quello di fare la morale agli altri e quello di sovrainterpretare a proprio piacimento alcuni suggerimenti (o passaggi di decreti) esemplari per chiarezza.

Per quanto riguarda lo sport all’aria aperta, ad esempio, il decreto del 9 marzo dice: “lo sport e le attività motorie svolti all’aperto sono ammessi esclusivamente a condizione che sia possibile consentire il rispetto della distanza interpersonale di un metro”. Punto. Non occorre aggiungere postille personalizzate come: “È comunque meglio stare a casa”. Nossignori, se no il decreto lo avrebbe esplicitato. Il passo è limpido, c’è poco da interpretare (né tanto meno da sovrainterpretare): potete correre assicurando la distanza interpersonale di un metro per tutto il vostro allenamento? Correte. Non potete? Restate a casa.

Correre sulla luna

Detto ciò. La già scarsamente trafficata Tortolì, dove risiedo, in questi giorni è ancora più vuota di persone, dunque riesco a correre senza incontrare – nemmeno in lontananza – pressoché nessuno. Altro aspetto: ogni competizione sportiva è stata annullata sino almeno all’inizio di aprile, e immagino sarà in fortissimo dubbio anche la Prague Marathon del prossimo 3 maggio, alla quale sono iscritto.

E così mi ritrovo a correre sulla luna: da solo e sempre meno sicuro di avere un obiettivo concreto per il quale allenarmi.

Allora, nel vuoto quasi assoluto – vuoto di persone, vuoto di stimoli – mi posso finalmente accorgere davvero di quello che faccio da anni, quattro volte a settimana: correre. E riscopro lo splendore di un gesto necessario ma inutile, primitivo ma alla moda, facile ma difficile. Sono anche colto da attimi di inconfessabile narcisismo: la strada deserta è lì per me. Eppure subito dopo, solo e accerchiato dall’aspra natura ogliastrina, vengo restituito alla mia piccolezza, alla mia marginalità; piccolezza e marginalità che gli umani – con tutte le loro costruzioni, le loro invenzioni, sempre più potenti e pericolose – hanno in fondo cercato da sempre di scongiurare.

Poi capitano queste situazioni di emergenza, che ci ricordano in maniera brutale di quante cose superflue (e azioni superflue, e ambizioni superflue) sia composta la nostra vita.

Mi pare che, in simili momenti, la differenza sia tra chi le rimpiange disperato e chi riscopre quanto è bello, quanto è umano, farsi bastare l’essenziale.

E stavolta la postilla tocca a me. Mi raccomando: seguite a menadito le comunicazioni ufficiali, non badate alle voci inverificate e correte solo se potete rispettare la distanza di sicurezza di un metro!

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