Cari lettori, giustapponendo quanto ho scritto la scorsa settimana a quanto sto scrivendo adesso, sarebbe lecito pensare a questa coppia di articoli come ai primi due capitoli di un’opera che potrebbe intitolarsi Diario di uno schizofrenico.
Eh sì, perché lo scorso lunedì vi ho dato conto degli ultimi sviluppi del mio infortunio, frignando un po’ (spero non troppo) e aggiungendo qualche pensiero sui podisti che interpretano la corsa come un’oasi di assoluta e indefettibile felicità.
Chiariamo: resto ben saldo nelle convinzioni espresse lo scorso lunedì. Però c’è un però.
Il però è che la corsa, fedele specchio dell’esistenza, è capace di sorprendere in negativo ma – per fortuna – anche in positivo.
Cosa mi è successo, dalla scorsa rubrica a oggi? Beh, sono successe le tre cose che leggete nel titolo di questo paragrafo.
La prima: a partire da domenica 18 settembre la temperatura è scesa di non pochi gradi. E io mi devo segnare da qualche parte il fatto di essere il podista più incapace di tollerare il caldo che esista al mondo.
In più, quest’anno ho patito particolarmente l’afa estiva perché è stata più ruggente del solito e perché, di certo, l’infortunio ha complicato tutto.
Per cui, insomma, da domenica 18 settembre riesco ad allenarmi in modo meno penoso rispetto a quanto mi è capitato negli ultimi mesi. Si badi: sono ancora ben lontano dalla mia miglior forma, ma diciamo che ho smesso di trascinarmi come nelle giornate più torride.
Secondo accadimento, la visita dall’ortopedico. Il quale mi ha confermato una lieve coxartrosi, ma mi ha anche rassicurato sul fatto che, se non sento particolare dolore, posso continuare ad allenarmi serenamente.
Questi due fattori, il clima più mite e la diagnosi dello specialista, hanno messo in moto il terzo elemento in gioco, ovvero la mia incoscienza.
E così, andando a spulciare il calendario delle maratone autunnali, mi sono reso conto che quella di Pisa cade proprio tre mesi dopo il mio primo allenamento dignitoso, quello del 18 settembre. E tre mesi è il tempo che mi occorre per preparare una gara regina.
Insomma: non ci ho pensato due volte, e ho deciso quale sarà – o meglio potrebbe essere – la mia prossima maratona. Ho subito contattato Fulvio Massini e gli ho chiesto di approntarmi un mese, solo uno, di programma.
Perché va bene l’incoscienza, ma se alla mia età non avessi sviluppato un minimo di prudenza, beh: non avrei la mia età.
Anzitutto, devo capire se nelle prossime settimane sarò in grado di tornare a un livello di forma accettabile.
Ma soprattutto, l’incognita maggiore è data dalla mia anca: come reggerà a carichi sempre più cospicui?
Comunque, pur con tutte le attenzioni e le cautele del caso, per ora la testa è lì, alla mia prossima maratona.
No, non è (o non solo) Fai merenda con girella. La morale è sempre quella relativa al ventaglio di emozioni che può dare la corsa, e che non dipendono solo dal momento. Voglio dire: c’è la sensazione di euforia (o di sconforto) dopo un allenamento oppure una gara riusciti particolarmente bene o male, certo.
Ma ci sono anche tutte queste cadute e risalite, prevedibili sono in minima parte, che non sto nemmeno più a dirvi quali e quanti insegnamenti profondi possono dare a chi sia disposto a riceverli.
Preparerò la mia prossima maratona, consapevole che mai come questa volta sarà difficile, che mai come questa volta sarà appassionante, che mai come questa volta sarà triste dover eventualmente abbandonare se i miei problemi fisici dovessero acuirsi.
Tutto ciò considerato, resta – anzi, si rafforza – una considerazione semplice: ah, come è bello correre!
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