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Ode a sua maestà l’Illusionista

Si sbaglia, nella vita. Oh, se e quanto si sbaglia!

Lasciamo perdere gli errori gravi, quelli che possono mettere a repentaglio o far deragliare un’esistenza, e limitiamoci all’ambito di questa sezione di Moondo: lo sport.

Per anni mi sono svegliato nel cuore della notte dopo aver sognato un calcio di rigore da me sbagliato – era la semifinale del campionato provinciale, categoria Giovanissimi – che ha mandato in finale l’altra squadra, peraltro acerrima rivale. Traversa interna, palla sulla linea e poi di nuovo in campo. Nessuno potrà mai capirmi.

Una trentina d’anni dopo, mi sono accorto di non avere mai considerato come avrebbe meritato un calciatore formidabile. Il quale anzi, ora che sto recuperando filmati su filmati che lo riguardano, ha una maniera di giocare che solletica come pochi altri il mio senso estetico.

Addebito un po’ della responsabilità al fatto che negli ultimi anni, come i lettori di questa rubrica sanno, parte della mia ossessione per il calcio si è trasferita al podismo. E un altro po’ al fatto che il giocatore in questione, misterioso ancora per pochissime parole, è stato per anni compagno di squadra del solo che può (quasi) contendere a Diego Armando Maradona lo scettro di calciatore più forte di tutti tempi: Lionel “Leo” Messi.

E quindi sì, il giovanotto finora senza nome non può che essere lui, Andrés Iniesta.

Ad avermi ingenerato un discreto senso di colpa per averlo fin qui misconosciuto, e tuttavia ad avermi dato la possibilità di redimermi recuperando il tempo perduto, è Gianni Montieri. Che ha scritto Andrés Iniesta, come una danza, uscito nell’ottobre del 2021 per 66thand2nd.

Andrés Iniesta, come una danza

Le due citazioni che aprono il volume dicono già molto di Iniesta. La prima è di Pep Guardiola (“Andrés non corre, Andrés scivola”) e l’altra è proprio di Leo Messi (“Credi di poterlo prendere, ma finisce sempre per andarsene”).

Definizioni che, peraltro, sono riassunte alla perfezione dal soprannome di Iniesta, l’Illusionista.

Di cui Montieri tratteggia un ritratto appassionato e puntuale. Si parte dalla Nike Premier Cup del 1999, con un Iniesta quindicenne (e già capitano della squadra giovanile del Barcellona) che all’ultimo minuto segna il gol vittoria e viene eletto miglior giocatore del torneo. Per finire con la struggente serata del 20 maggio del 2018 al Nou Camp, per la gara d’addio di Andrés al Barça. Con la sostituzione all’ottantunesimo minuto, la commozione di tifosi e compagni, il lungo abbraccio con Messi, a cui Iniesta affida la fascia di capitano. E poi, dopo che lo stadio si è svuotato, il ritorno di Iniesta – scalzo – sul terreno di gioco, con uno sguardo malinconico, quasi sperso, nonostante il suo solito sorriso timido.

Sono tutti momenti che ormai, grazie ai social, si possono recuperare facilmente, così come la straordinaria quantità di gol e giocate descritte nel volume di Montieri. Che ripercorre anche la biografia del campione spagnolo, tra momenti di gloria e una depressione che lo ha ghermito dopo la morte del collega Dani Jarque.

Le note necessarie

Ma Andrés Iniesta, come una danza rivela soprattutto l’inarrivabile capacità di Iniesta di giocare con una rapidità, di pensiero prima ancora che d’azione, unica. Nella quale nessun tocco, per quanto sublime, è mai stato fine a se stesso, ma sempre funzionale ad abbassare o alzare il ritmo, a smarcare un compagno o dribblare un avversario. “Non farebbe mai una finta, un doppio passo, un colpo di tacco dove non siano necessari”, scrive Montieri a pagina 52.

È la prerogativa dei grandi artisti, capaci di adoperare solo ciò che occorre con la massima precisione ed efficacia possibili.

Viene in mente il consiglio che il grande cantante e chitarrista brasiliano, João Gilberto, diede al nostro trombettista jazz Enrico Rava: “Suona solo le note necessarie. Le altre cerca di non suonarle”.

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