Libri

“Fine della corsa”: il giallo podistico di Paglieri

Ormai da diverse settimane ci siamo affrancati dal ruolo di monotematici cantori del podismo, e ci divertiamo sempre più di frequente tentando incursioni in universi limitrofi a quello del nostro amato sport.

Stavolta lo facciamo con particolare piacere, perché vi diamo conto di un libro che fa vibrare più di una corda all’estensore di queste righe. L’autore è anch’egli genovese e maratoneta (non si vuole sapere per quale delle due squadre calcistiche cittadine faccia il tifo, per non rompere l’incantesimo), e addirittura è allenato anche lui da Fulvio Massini, ben noto ai lettori di questa rubrica. E saltando dalla biografia dell’autore all’opera, scopriamo che nella trama ha un’importanza niente affatto secondaria la maratona di Genova; e più precisamente l’edizione del 2018, il cui tracciato corrisponde a quello descritto nel volume.

Stiamo parlando di Fine della corsa, sinora ultimo capitolo della saga dell’ormai ex commissario Marco Luciani. Lo ha dato alle stampe Piemme nel giugno del 2021 e lo ha scritto Claudio Paglieri, giallista di vaglia e colonna del Secolo XIX, il maggiore quotidiano genovese.

Fine della corsa

Che il giallo sia per propria natura un genere incline a mutare forma, esposto com’è ai cambiamenti sociali e antropologici, lo sappiamo tutti. Borges ci ha insegnato ad amare il giallo metafisico, Izzo quello esistenziale; e Paglieri ci introduce al giallo podistico.

Sì, perché Marco Luciani, ormai ritiratosi a nuova vita a Barcellona, decide di tornare a Genova proprio per correre un’edizione speciale della maratona della sua città: quella commemorativa delle vittime del crollo del ponte Morandi, la Genova City Marathon del 1 dicembre 2018 (benché nel testo non ci sia alcun riferimento esplicito a questa gara).

Ma un poliziotto, si sa, è come un tifoso o un alcolizzato: rimane tale sino all’ultimo giorno della propria vita. E così Marco Luciani si troverà a indagare sempre più convintamente su ben due casi. Uno riguarda il brutale assassinio di Renata Massari, proprio mentre il fratello Vincenzo sta correndo – esattamente come Luciani – la maratona di Genova; l’altro è la scomparsa della settantacinquenne Orietta, la cui irreperibilità farà parte di un disegno molto più vasto e inquietante.

Trattandosi di un giallo, abbiamo già detto troppo.

Perché il romanzo funziona?

Fine della corsa si legge con piacere per più di un motivo. Intanto, ci sono alcuni leitmotiv del genere giallo che fanno per così dire accomodare il lettore: per esempio la doppia indagine, e una serie di personaggi-modello che svolgono perfettamente ciascuno il proprio compito. Dal commissario Calabrò, più duro che perspicace, dai modi spicci ma in fondo equanime, all’avvocata Pane, cinquantenne tanto affascinante quanto idealista.

E poi c’è la figura di Marco Luciani, sprezzante e autoironico, cinico eppure onesto in modo quasi ossessivo, forse un po’ altezzoso ma più per timidezza che per supponenza. Luciani, insomma, riunisce in sé tutte le caratteristiche tipiche del miglior genovese, quello che – con un aggettivo caro a Eugenio Montale – un tempo si chiamava stundaio.

E oltre alla genovesità, nel romanzo c’è tanta Genova. La maratona, certo, ma anche diversi luoghi della città, il rapporto spesso difficile tra gli indigeni e le nuove generazioni di immigrati, e quella incapacità di risolversi tra l’autoreferenzialità della città di provincia e l’apertura e pluralità da grande città europea.

E naturalmente c’è il podismo. Anzi, ci sono i podisti: di cui Paglieri intercetta con acume tic e ossessioni, come per esempio quello per gli strumenti tecnologici, capaci ormai di misurare le prestazioni attraverso una quantità impressionante di metriche, come le chiamano le aziende produttrici. Ma dei podisti Claudio Paglieri sottolinea anche il profondo senso della disciplina e la capacità di programmare con precisione millimetrica un piano, sia esso magari un delitto o magari un’indagine per smascherarlo.

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