Sport individuali

Criceti e divertimento

Amici podisti, coraggio. È un momento difficile, e l’estensore di questo articolo avrebbe una gran voglia di esprimere il suo punto di vista. Ma non lo fa per due motivi: perché non vuole aggiungere un’opinione alla miriade di quelle – spesso dettate dall’emotività, superficiali e contraddittorie – che affollano il web; e poi perché solo guardando un fenomeno dalla dovuta distanza (temporale) lo si può analizzare con sufficiente lucidità.

Perciò, accettiamo le restrizioni che ci vengono imposte, continuiamo ad allenarci senza contravvenire alle disposizioni di legge e aspettiamo con fiducia tempi migliori.

Ammetto di essere fortunato: vivo in un quartiere periferico di un paese poco popoloso, dunque posso ancora permettermi di correre senza incrociare nessuno o quasi. Ho escogitato un percorso ad anello di qualche centinaio di metri attorno alla mia abitazione; lungo quello che ho affettuosamente ribattezzato il giro del criceto, domenica scorsa sono riuscito a fare sedici chilometri (in fondo poca cosa, mi dico, se c’è chi si cimenta nella 24 ore in pista).

Annullata la maratona di Praga del prossimo 3 maggio, alla quale avrei dovuto partecipare, il mio allenatore Fulvio Massini mi ha riveduto il programma al ribasso, scorciando il chilometraggio settimanale. Che peccato, proprio ora che si andava nel difficile e che avrei dovuto affrontare i mitici lunghissimi, nonché le amate ripetute col recupero a ritmo maratona. Ecco quindi che per mercoledì scorso Fulvio, dopo che gli ho illustrato il mio nuovo percorso breve e tutto curve, mi ha inserito un 2×3000, una cosa minima, giusto per evitare di correre sempre su ritmi lenti.

Il criceto bambino

Per abitudine, e in questo periodo anche per non incorrere in qualche individuo dedito alla caccia all’untore (anche se qui da me, ribadisco, è un’eventualità remota), esco a correre di mattina presto. Mercoledì alle sei e mezza pioveva; anzi no, diluviava. Dopo la solita colazione leggera del pre-corsa, sono rimasto a meditare una buona mezz’ora sull’opportunità o meno di allenarmi. L’intensità della pioggia avrebbe scoraggiato una larga percentuale dei runner anche più pervicaci.

Poi ho pensato a tutti gli allenamenti (e le gare) fatti sotto l’acqua, al piacere che ne ho tratto, e a quanto sarebbe stato insensato aggiungere da me altre limitazioni a quelle, decisamente severe se rapportate agli altri paesi, vigenti in Italia per quanto riguarda l’attività fisica all’aperto.

E allora mi sono buttato in strada. Per il primo chilometro, mentre mi riscaldavo, ho prestato la massima attenzione a schivare le pozzanghere. Una volta accelerato per affrontare la prima ripetuta, però, mi sono accorto che sarebbe stato impossibile concentrarmi su uno zig-zag proficuo a preservare asciutti i piedi. E così, semplicemente, me ne sono infischiato, e ho proseguito suppergiù in linea retta.

Ed è stato qui che la corsa – la quale, come ho scritto altrove, offre i suoi doni più preziosi a chi sa abbandonarvisi senza contrappesi – mi ha restituito una gioia piena, infantile. Correvo, ridevo, pucciavo le scarpe in pozze alte una spanna, e sono pure andato veloce (per le mie modestissime possibilità), senza mai badare alla respirazione, senza mai badare alla postura, preoccupandomi solo di correre e di godermi ogni attimo di quel piacere. Che divertimento, ragazzi!

Ho terminato l’allenamento e – fedele alla mia regressione – ho sussurrato a fior di labbra: “Già finito?!” Dopo di che, salite la scale, ancora sul pianerottolo ho chiesto alla mia compagna di fotografarmi, perché sentivo di dover immortalare quel momento di felicità. Momento che adesso condivido con voi: credo che sotto i baffi traspaia piuttosto inequivocabilmente un’espressione goduta.

Per concludere. Non so se sia vero che la libertà debba essere a rischio di conculcazione perché sia percepita finalmente come preziosa. Quello che so, e mercoledì ne ho avuto una riprova fisica, è che – scusate l’elementarità dell’affermazione – correre è bellissimo.

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