Due degli uomini più ricchi del pianeta, Elon Musk e Mark Zuckerberg, non sapendo come passare il tempo stanno pensando di sfidarsi. Non a suon di tweet o post, ma in un incontro di Mma (arti marziali miste). E si vocifera che una delle location più probabili sarà il Colosseo.
Impossibile non fare almeno due istintivi collegamenti mentali. Il primo e più immediato ci riporta alla scena finale de L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente, dove l’Anfiteatro Flavio ha fatto da scenografia all’epico scontro fra Bruce Lee e Chuck Norris.
Il secondo è che se non ci fosse stato il personaggio di cui ci occuperemo oggi, cioè appunto Bruce Lee, probabilmente le arti marziali sarebbero ancora discipline sportive di nicchia, che almeno alle nostre latitudini godrebbero di scarsa o nulla visibilità.
Ma Bruce Lee c’è stato, e di quanto il suo personaggio sia stato unico e dirompente si è occupato Michele Martino in Bruce Lee. L’avventura del piccolo drago, uscito nel luglio del 2023 per 66thand2nd, editore dei cui volumi ci occupiamo con una certa frequenza.
Martino, editor e traduttore letterario, nelle oltre 300 pagine del libro ci propone, attraverso una fitta serie di aneddoti più o meno noti, una figura vividissima dell’artista marziale, attore, regista e produttore cinematografico cinese con cittadinanza statunitense.
L’uscita in libreria di Bruce Lee è avvenuta quasi precisamente a cinquant’anni dalla morte del personaggio, avvenuta il 20 luglio 1973.
Già a ripercorrerne al volo la biografia si mostrano le peculiarità di Bruce. Che, figlio di attori, nasce il 27 novembre 1940 a San Francisco, trascorre l’infanzia a Hong Kong ma da ragazzo studia a Seattle. Dove mostra né più né meno un’indole da bullo, come diremmo oggi.
Presto fa sue le tecniche di svariate arti da combattimento, e con sprezzo delle tradizioni (più di una volta esibito pubblicamente) inventa un proprio stile composito, il Jeet Kune Do, una filosofia prima ancora che un’arte marziale.
Bruce Lee si pone dunque a un doppio crocevia. Tra antico e nuovo (impara, pur dichiarando di sottostimarle, le tecniche di combattimento classico, ma per fonderle in un unicum innovativo e spettacolare), e tra occidente e oriente. Non solo per il suo doppio passaporto, ma anche per aver reso le arti marziali un vero e proprio fenomeno di massa globale.
Non saranno film d’essai, ma i pochi lungometraggi che hanno per protagonista Bruce Lee adulto hanno avuto un successo commerciale memorabile.
Basti pensare al fatto che l’ultimo film (se escludiamo quelli postumi), I 3 dell’operazione drago, ha fatto segnare il secondo maggior incasso alla Warner Bros dopo L’esorcista.
Le arti marziali, dopo Bruce Lee, hanno regalato al cinema coloratissime e avvincenti coreografie, per svariati anni i ragazzi di mezzo mondo si sono ritrovati nelle strade a imitare posture e urletti del piccolo drago (uno dei soprannomi di Lee), e non parliamo – Martino se ne occupa con puntualità nell’ultimo capitolo – di quanti registi abbiano reso omaggio (o saccheggiato) le scene di combattimento dell’attore e regista.
Senza Bruce Lee, giusto per citare due dei suoi crediti più celebri, non sarebbero stati girati Matrix e Kill Bill.
Ha concorso infine alla cristallizzazione del mito di Bruce Lee la sua morte, avvenuta a soli trentatré anni in circostanze mai del tutto chiarite.
Michele Martino ha scritto un’opera documentatissima e appassionata su Bruce Lee. Che gioca, attraverso numerose testimonianze, a rinsaldare l’idea – che ha cullato l’adolescenza di molti di noi – di un essere umano pressoché invincibile.
Peccato che l’autore non si prenda la briga di spiegarci come mai un così osannato maestro non abbia mai preso parte ad alcuna competizione di arti marziali.
Ma in effetti, dal momento che Bruce Lee. L’avventura del piccolo drago funziona – come i film dell’indistruttibile Chen – proprio perché si basa sulla sospensione dell’incredulità, una risposta ci avrebbe fatto ripiombare nella noiosissima realtà adulta.
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