Libri

Věra Čáslavská, campionessa dissidente

I legami tra sport e politica sono sempre stati saldi per svariati motivi. Diciamo, semplificando, che la politica può condizionare lo sport, asservirlo all’ideologia di regime, ma lo sport a sua volta è un palcoscenico attraverso il quale poter mostrare il proprio dissenso verso certi modi e toni della politica.

Tra i moltissimi esempi possibili prendiamone uno, quello dell’ex capitana della nazionale di calcio femminile statunitense, Megan Rapinoe. Nell’autobiografia da noi recensita viene mostrata la figura non solo di una fuoriclasse dello sport, ma anche di una donna impegnata come portavoce (e icona) del movimento LGBTQIA+, fieramente democratica e progressista. E dunque – fin troppo facile arguirlo – acerrima nemica dell’ex presidente Usa Donald Trump.

Věra Čáslavská

Un’altra splendida atleta che ha vissuto sulla propria pelle il legame tra politica e sport nelle due direzioni (interventi censori dei regimi nelle discipline sportive, e ribellione degli sportivi simbolo ai regimi medesimi) è Věra Čáslavská, ginnasta cecoslovacca e sportiva più decorata di sempre del Paese, con i suoi sette ori alle Olimpiadi, quattro ai campionati mondiali e undici agli europei.

Ci parla dell’asso della ginnastica Armando Fico, in un libro uscito nel giugno del 2023 per Battaglia Edizioni con la prefazione di Saverio Fattori e un titolo eloquente: Věra Čáslavská, campionessa dissidente.

Battaglia Edizioni

Prima di darvi brevemente conto del volume, è doveroso introdurre Battaglia Edizioni, editore indipendente che nel suo catalogo – oltre a libri di narrativa e attualità – dà ampio spazio alla letteratura sportiva.

A loro tutto il nostro affetto: di questi tempi, essere una piccola realtà editoriale, e pure ben connotata quanto a titoli pubblicati, è un atto quasi eroico.

Il libro

Ma dicevamo del volume di Fico, Věra Čáslavská, campionessa dissidente.

Che narra la vicenda sportiva e umana della grande ginnasta, scegliendo uno stile ibrido: saggistico, ma con concessioni alla forma narrativa, specie nei presunti dialoghi tra Věra e altri personaggi dello sport e della politica di allora.

Scelta che forse non ci ha convinto del tutto, ma che è l’unico limite di un libro che, per la straordinarietà della vicenda narrata, si fa leggere con partecipazione.

La campionessa dissidente

È la storia, dicevamo, di una ginnasta che – giovanissima – deve faticare per sostituirsi nell’immaginario del Paese alle campionesse che l’hanno preceduta.

Ma è la medesima che, allenatrice dello Sparta Praga, dopo aver visto il filmato della vittoria della quindicenne Nadia Comăneci alle parallele alle Olimpiadi di Montreal del 1976 (quando la giuria per la prima volta ha attribuito un 10 a una ginnasta ai Giochi olimpici) si mostrerà sdegnata nei confronti di chi fa gareggiare “delle ragazzine sformate”.

E poi c’è la storia della dissidente Věra Čáslavská, vicina al movimento democratico cecoslovacco che nel 1968 si è opposto all’invasione dei carri armati sovietici.

Opposizione che nella seconda parte della vita la costringerà all’oblio e a un’esistenza ai limiti della povertà, sino alla distensione degli anni Ottanta e soprattutto alla guida illuminata dell’Unione Sovietica da parte di Gorbaciov.

L’episodio di Città del Messico

L’intreccio tra sport e politica, ma anche la tempra di Věra, sono testimoniati da un episodio clamoroso, accaduto alle Olimpiadi di Città del Messico, che tutti ricordano soprattutto per il massacro di Tlatelolco e per la protesta di Tommie Smith e John Carlos (che sul podio di premiazione dei 200 metri hanno fatto il saluto distintivo del Black Power).

Ebbene, la ginnasta cecoslovacca in quella stessa Olimpiade era in testa alla classifica ma, sotto le pressioni di un delegato dell’URSS, i giudici messicani hanno riveduto al rialzo il punteggio della ginnasta sovietica Larisa Petrik, assegnando così l’oro ex aequo alle due atlete.

Racconta Fico: “Fu con l’inizio dell’inno sovietico che Věra trovò finalmente la forza di denunciare al mondo tutta la sua rabbia: mentre lo stendardo rosso con falce e martello si issava maestoso nell’Auditorium, Věra voltò lo sguardo dalla parte opposta e rifiutò qualsiasi omaggio alla bandiera dell’URSS, sconfessandone l’autorità” (p. 154).

Un gesto – e una posizione – che le sono costati carissimo, ma che a distanza di cinquantacinque anni ci restituiscono l’immagine di una donna di rara coerenza e coraggio.

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