Premessa: i motivi per cui detesto piangermi addosso sono almeno due.
Il primo, va da sé, è dato dal fatto che autocommiserarsi è brutto agli occhi altrui, e non porta mai a nulla di buono.
Il secondo è che una certa tendenza a frignare si dice sia tipica degli italiani. Non che io sia il primo nazionalista (anzi), ma insomma, queste attribuzioni di vizi e virtù secondo parametri geografici mi piacciono sempre poco.
È dunque per questi due motivi che ho atteso settimane, anzi mesi, prima di scrivervi quanto vi andrò scrivendo oggi: vado piano.
In che senso, vado piano?
In senso assoluto, sono sempre stato un podista di medio calibro. Lento per i miei parametri (percepisco veloci gli amatori, per intenderci, che stanno sotto le due ore e quaranta in maratona e l’ora e quindici in mezza). Anche se, visto il ben noto decadimento medio delle prestazioni degli amatori, nelle poche gare che faccio ho sempre molti più podisti che mi finiscono dietro rispetto a quanti arrivano prima di me.
Avevo il mio passo, mi andava bene così. E avevo una porzione di giorni all’anno, di solito intorno a gennaio-febbraio, in cui stavo proprio bene, mi sentivo leggero, le gambe giravano. E così, rispetto alle mie modeste possibilità, viaggiavo su tempi che mi soddisfacevano particolarmente.
Ora, da qualche tempo, vado piano. È iniziato tutto dopo la maratona di Pisa del 2021, e la ben nota spina calcaneare di cui vi ho parlato fin troppo a lungo.
Dopo un periodo di stop obbligato, ho ripreso ho preparato la Cortina-Dobbiaco, ma per un allenamento riuscito benone, tre mi trovavano in affanno. Non solo ero lento ma anche affaticato, come appesantito, anche se non ho preso un etto. E infatti la Cortina-Dobbiaco l’ho corsa male.
Poi, un paio di settimane fa, c’è stato il Covid. Debellato il quale, ho fatto un paio di allenamenti anche buoni, mi sentivo pimpante e di nuovo leggero. Taci, mi sono detto, stai a vedere che la tua muscolatura aveva solo bisogno di un po’ di riposo.
Invece niente: stamattina ho corso dodici ripetute sui quattrocento metri ed è stato uno strazio. Quindici secondi in più della mia media consueta, e una gran voglia di smetterla già a partire dalla quinta o sesta.
Quindi vado piano, ben più piano di quanto andassi fino allo scorso anno.
La cosa mi dà fastidio? Sì, certo. Perché negarlo?
Ferma, facciamo un ragionamento un po’ più ampio. Da una parte, ho tanti di quegli alibi disponibili che non saprei nemmeno da quale iniziare. Prima c’è stata la spina calcaneare, poi la coxartrosi: è normale che, da infortunati (o comunque riprendendo dopo un infortunio), si vada più piano. Poi c’è stato il Covid. Ma tu lo sai che il Covid è un’infezione polmonare? Ma tu lo sai che ci sono podisti che hanno recuperato una dignitosa condizione dopo mesi e mesi?
Ma sì, ma sì, so tutto. Però so anche di avere quarantasette anni, ed è stato già un quasi miracolo il fatto che sino alla fine del 2021 io abbia migliorato i miei tempi quasi a ogni maratona corsa.
Certo, se l’età voleva mostrarmi il conto, lo sta facendo in un modo indubbiamente repentino e, perbacco, frontale.
Al punto che, riscoprendo un’ingenuità che non credevo di avere, ho domandato a più di un amico se è normale invecchiare così di colpo. (Non è vero, l’ho fatta meno tragica e ho semplicemente chiesto loro se un decadimento delle prestazioni dovuto a motivi anagrafici possa essere così violento).
Loro mi hanno risposto di no, ma sono amici, e gli amici si sa che barano per colpa del troppo affetto.
E così mi ritrovo a dimostrare su me stesso che, in fondo, chi corre non insegue nessuno. Ma semmai spera in una folle, impossibile fuga.
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