Che estate avventurosa, amici podisti. L’afa che sembrava svanita è ricomparsa e mi sta impedendo di allenarmi con continuità in modo decente; le ultime vicende politiche mi lasciano in uno stato di inevitabile apprensione; come se non bastasse, non riescono a concludersi nemmeno le trattative per la cessione della mia Sampdoria; infine, impegni lavorativi di diversa natura mi cingono d’assedio.
Poco incline a pensieri suicidi, preferisco adoperare il mio (poco) tempo libero leggendo. Oltre ai volumi di narrativa che, per mestiere, mi tocca recensire, mi piace intercettare le ultime uscite editoriali di argomento podistico. Del novero fa parte Silvano principe del Monreale, scritto da Adriano Corona e dato alle stampe da AmicoLibro, piccola casa editrice (e agenzia letteraria) di Capoterra.
Il 28 ottobre del 1984 Silvano Melas, un bambino di sette anni di Sardara (paese della provincia del Sud Sardegna coincidente, non a caso, con quello in cui è nato e vive l’autore) assiste in televisione al primo dei due trionfi di Orlando Pizzolato alla maratona di New York. Da quel giorno, Silvano cullerà (e coltiverà) il sogno di correre e vincere proprio la maratona più famosa al mondo.
La crescita sportiva di Silvano, che verrà allenato dall’anziano Attilio – uomo che ha un intimo legame con l’atletica – viene descritta in parallelo con quella umana, colta in alcuni suoi aspetti essenziali: l’amicizia con altri giovani del paese, l’amore, e lo stretto rapporto con l’isola, del quale proprio la ragazza con cui Silvano si fidanzerà saprà cogliere, in alcuni dei passaggi più felicemente ironici dell’opera, gli eccessi (corsivo nel testo): “«Non siete capaci di parlare con una persona non sarda, senza affermare che la Sardegna è il posto più bello del mondo. Che magari è anche vero, ma sentirselo dire da certe persone che non hanno mai portato il naso fuori dall’isola, capisci che non ha senso?»”, p. 101.
E così, seguiamo il percorso di Silvano dalla prima vittoria alla marcialonga di paese, passando per la prima maratona di Cagliari (che avrà per lui un esito agrodolce), in un continuo avvicinamento al suo desiderio d’infanzia: partecipare alla maratona di New York da protagonista.
Silvano principe di Monreale è un libro scritto con grande semplicità, che avrebbe forse avuto bisogno di un editing un po’ più severo, e che mostra le sue maggiori debolezze nei racconti delle imprese giocose di Silvano e dei suoi amici: nulla di originale né per contenuto né per taglio narrativo.
Ma al netto di questi limiti, se ci si concentra sul cuore del libro – che è poi la vicenda del Silvano atleta – la lettura risulta piacevole, e lo stile piano aiuta a immedesimarsi nel giovane corridore. Noi podisti amatori ritroviamo alcune tappe pressoché obbligate della carriera di ogni atleta, a prescindere dalla qualità e dagli esiti: gioie e dolori, risultati brillanti e brucianti delusioni, periodi di eccellente forma fisica e infortuni. I maratoneti, poi, potranno leggere un’impietosa descrizione del famigerato muro.
Ciascuno di noi, inoltre, ha un allenatore (o comunque un mentore) che lo ha fatto innamorare di questo sport, lo ha seguito, gli ha somministrato consigli e aneddoti. Emblematico è in questo senso l’anziano Attilio, custode di un modo antico di intendere l’atletica; egli è, ad esempio, poco incline all’uso ossessivo della tecnologia per monitorare le prestazioni.
E così, tra imprevisti piacevoli e non, sportivi e non, l’indomabile Silvano si troverà infine ai nastri di partenza della maratona più agognata da qualunque corridore, con tutta la nostra più affettuosa invidia. Ma naturalmente abbiamo fatto il tifo per lui: “Silvano fece un respiro profondo, si levò di dosso la tuta, gettandola via lontano, come fosse una pelle morta. In quel gesto gli sembrò di rinascere”, p. 115.
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