L’estensore di questa rubrica settimanale ha dedicato diverse riflessioni scritte – la più lunga e articolata delle quali è diventata un volume – sui molti benefici della corsa. Quelli più tangibili (il dimagrimento, la riduzione del cosiddetto colesterolo cattivo, l’abbassamento della pressione arteriosa eccetera) e quelli più ineffabili ma più profondi. Tra cui, ad esempio, la possibilità di entrare in un rapporto intimo col sé più privato, oppure quello di ricordarsi che – più o prima di essere lavoratori, genitori, figli, compagni, amici e tutti gli altri ruoli sociali ai quali non possiamo sfuggire – siamo animali, e apparteniamo al mondo più e prima di quanto non “apparteniamo” al nostro capufficio o al nostro conto in banca.
Questa lunga premessa non certo per un insopprimibile istinto narcisistico. Ma per dire che chiunque ami correre e abbia un qualche ruolo intellettuale (o anche solo un’accesa curiosità) non può fare a meno di percepire come l’atto di correre sia così potentemente liberatorio, salvifico, naturale. A noi podisti viene da dire necessario.
Tutte caratteristiche che si sono ancor più evidenziate nei terribili e per alcuni motivi anche assurdi mesi del primo lockdown (ma si potrebbe tranquillamente dire confinamento), quando alcuni DPCM un po’ miopi (ricordiamo che nel resto dell’Europa l’attività fisica era semmai incoraggiata) e un certo moralismo imperante hanno provocato una serie di situazioni grottesche ai danni di chi correva. Ogni podista, crediamo, avrebbe da raccontare almeno un tragicomico aneddoto che lo riguarda.
È proprio in questa direzione che si muove Rorara. Inizia a correre, esile narrazione scritta da Max Monteforte e Marco Raffaelli, e illustrata da Leonardo Spina (prefazione di Francesco Landi, introduzione di Fiorello Cortiana).
Il libro, presentato in occasione della Longevity Run del 24 ottobre e acquistabile presso lo shop dell’asd Purosangue, è stato scritto sorprendentemente prima della pandemia.
Sorprendentemente visto che Rorara è ambientato in un futuro prossimo (distopico, usa dire oggi) in cui correre è vietato, così come praticare qualunque altro sport. In cui, soprattutto, a ciascun individuo è stato impiantato l’EPOC che – leggiamo a p. 6 – ovvero “una striscia cutanea bio-reattiva, composta da una sostanza che cresce con l’età del soggetto e serve a verificare il livello delle lipochine presenti nel sangue”.
Il piano metaforico al quale si fa riferimento, quello del controllo e dell’omogeneizzazione delle personalità, è piuttosto lampante.
Ci troviamo in un mondo dominato dalle industrie, in cui scarseggiano le risorse. E in cui la corsa è vista come azione rivoluzionaria contro l’asservimento psicologico. Rorara erano infatti le “corse rivoluzionarie di massa”, leggiamo a p. 47, per “offrire all’umanità una strada nuova, alternativa al progetto EPOC”.
Se dal punto di vista squisitamente letterario l’operazione è solo parzialmente riuscita, va dato atto che “Rorara” – volume che ci ricorda non solo l’importanza dell’attività fisica, ma anche quella della salvaguardia del nostro pianeta – è l’ennesimo atto d’amore verso lo sport, il benessere e la condivisione che Max Monteforte ha voluto fare, stavolta assieme al giornalista Massimo Raffaelli, penna di Repubblica e di Correre.
Max Monteforte, di cui abbiamo già parlato, è non solo un ottimo ex mezzofondista, ma anche il co-fondatore (assieme a Nico Pannevis) di Purosangue Athletics Club. Purosangue è anzitutto un’associazione podistica, che ha anche aperto al ciclismo e al triathlon. Ed è inoltre capofila di diversi progetti internazionali per la promozione dello sport, la lotta al doping e l’aiuto ai futuri campioni di Kenya e Mozambico.
Ha ragione Max Monteforte: chi corre gode del privilegio di provare su di sé la più profonda libertà. Perciò ha (o dovrebbe avere) anche il dovere di trasmettere agli altri la bellezza e l’importanza di essere liberi, in un virtuoso passaparola simile a una staffetta infinita.
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