La corsa – così come la preghiera, l’alcolismo, il gioco degli scacchi e le serie tv – se praticata con un certo impegno e una certa costanza pervade di sé la vita: non voglio dire che renda necessariamente ossessivi e impedisca di pensare ad altro, ma certamente essa diventa misura di tutto, e l’esistenza si organizza in sua funzione. Gli allenamenti cadenzano le giornate, regolano alimentazione e riposo, gli appuntamenti vengono presi, spostati o disdetti in base agli impegni sportivi. Che i sedentari non si scandalizzino: chi corre fa tutto questo con piacere, non con uno spirito sacrificale.
C’è anche chi, come Stefano Pampuro – giovane podista amatore di buon livello – decide di partire per la Spagna allo scopo di conoscere, intervistare e se possibile avere come compagni di allenamento alcuni dei maratoneti appunto spagnoli che primeggiarono a cavallo tra il 1995 e il 2003.
Il frutto di questo pellegrinaggio laico è Ogni corsa è un viaggio. Storia di una generazione che ha dominato la maratona, dato alle stampe da Ultra Edizioni nel 2018. Il volume (che forse avrebbe avuto bisogno di un editing più robusto) alterna dunque i resoconti degli incontri fra Stefano e alcuni campioni spagnoli – da Martín Fiz a Julio Rey, da Abel Antón a Fabián Roncero, con una piacevole eccezione rappresentata dal nostro grande Salvatore Antibo – con allenamenti condotti dallo stesso Pampuro in vista del suo esordio nella gara regina, nientemeno che ad Atene.
Tutti questi atleti si sono dimostrati generosi e ironici con Stefano, come spesso accade in questo nostro splendido sport, che – essendo ancora sufficientemente al riparo dai riflettori – tiene quasi tutti i suoi protagonisti alla giusta distanza da atteggiamenti divistici.
Nel libro si leggono rievocazioni di gare più e meno celebri, di allenamenti estenuanti (che oggi pochissimi anche fra i top runner sarebbero in grado si sostenere) e non mancano curiosità e aneddoti; tra questi, uno di cui l’estensore di questo articolo aveva memoria – e che è immortalato dalla foto che qui potete vedere – riguarda Fabián Roncero e Marco Pantani: intorno al trentacinquesimo chilometro della maratona di Carpi del 1996 Roncero, che vincerà col tempo di 2h09’43”, viene affiancato dal Pirata, che si stava allenando su quelle strade, e che gli dice: “Lo sai che stai correndo ai venti all’ora?”
L’altra anima del libro, dicevamo, è rappresentata dalla cronaca (entusiastica ma non compiaciuta) di Pampuro dei propri allenamenti, nonché della propria ripresa da un infortunio che lo ha tenuto fermo per diverse settimane. Proprio il fondersi di queste due prospettive ci restituisce il significato più profondo di Ogni corsa è un viaggio.
Scrive Pampuro nelle ultime righe dedicate al suo incontro con Roncero: “Uno dei più grandi maratoneti della storia lui, uno sconosciuto io, seduti su quei sedili dell’auto, a parlare di corse che hanno il sapore dell’esistenza.
È l’inquietudine che ci accomuna e che ci consuma […] La paura terrificante di lasciarci sfuggire qualcosa o la foga di inseguirla senza tregua ma senza sapere cosa stiamo inseguendo […]
Una corsa per scappare da noi stessi, ma anche per gridare al cielo che ci siamo, e che c’è speranza finché siamo in movimento”, p. 147.
La sensazione è che il viaggio a tappe di Stefano Pampuro in terra spagnola non sia stato organizzato solo per il desiderio un po’ infantile di conoscere i propri idoli, ma per trarre giustificazione autorevole alle proprie fatiche, al proprio tempo speso (speso, non perso!) in allenamenti che non lo condurranno mai a una medaglia olimpica.
Giustificazioni che Stefano ha trovato appieno ma che non gli sarebbero comunque servite. Perché?
Perché il nostro meraviglioso sport non è solo il più democratico che ci sia (l’unico che, per esempio, nelle gare vede i campioni partire assieme ai tapascioni); è anche lo sport che meglio rispecchia la nostra natura primitiva, di cacciatori obbligati a rincorrere le proprie prede sino a sfiancarle. Siamo fatti per muoverci – ormai sono svariati gli studi scientifici che lo confermano – nel senso che il nostro corpo è programmato proprio per la corsa sulle lunghe distanze, non per stare accartocciato su una scomoda sedia d’ufficio per otto ore al giorno.
Ogni corsa è un viaggio ci ricorda insomma che siamo tutti corridori, a prescindere dalla qualità delle nostre prestazioni: adesso sta a noi non dimenticarlo.
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