Da quando, nel 2004, la rivista Nature ha ospitato l’ormai celebre articolo scritto dal biologo Dennis Bramble e dall’antropologo Daniel Lieberman, tutti noi podisti (e non solo) sappiamo di essere nati per correre. L’approfondito studio dimostra come il nostro sistema muscolare, quello osseo e quello della termoregolazione fanno sì che la specie umana sia imbattibile nella corsa di resistenza: e in effetti l’uomo preistorico si procacciava il cibo inseguendo le prede per chilometri e chilometri, sino a sfiancarle.
Va dunque da sé che, se siamo nati per correre, a maggior ragione siamo nati per camminare.
Proprio Nati per camminare è il titolo di un volume scritto da Alessandra Beltrame e uscito nel settembre del 2019 per Ediciclo. Il cui denso capitolo introduttivo è ricco di spunti suggestivi: viene ribadita la peculiarità fisica umana, che ci vede progettati per muoverci e non certo per atrofizzarci davanti (ad esempio) al monitor di un computer; viene poi sottolineato il paradosso per cui la scarsa attitudine al cammino dell’uomo contemporaneo è dovuto alla… fretta: per camminare, infatti, occorre dismettere il nostro ruolo di ossessivi produttori di senso e di manufatti, la nostra prospettiva utilitaristica, e farci osservatori della bellezza muta del mondo, dello scorrere dell’esistenza.
“Camminare per andare avanti, salutare il nuovo giorno e prepararsi al successivo, accettare lo scorrere della vita e il nostro divenire. Non fermarsi sulle cose, sulle relazioni, ma crescere con esse. Perdere il possesso, accettare l’addio e la sorpresa, salutare lo sconosciuto e avere curiosità per ciò che non si conosce”, pp. 11-12.
L’opera si sviluppa poi in una serie di capitoli suddivisi in quattro sezioni corrispondenti ai quattro elementi (nell’ordine, Fuoco, Terra, Acqua e Aria), in cui sono narrati con grande entusiasmo i tragitti compiuti dall’autrice: da quelli per così dire ufficiali (e che hanno ormai notorietà planetaria) come la Via Francigena, a quelli più nascosti e segreti, che spesso rivelano gli aspetti meno vistosi ma più autentici dei luoghi. Ciò che accomuna i diversi percorsi è certamente l’attenzione: attenzione a sé, agli altri e alle cose del mondo. Il cammino, proprio come la corsa, necessita di un’onestà assoluta: si abbandonano ai lati del sentiero certezze sociali e conforti domestici; l’atto dell’andare, oltre a togliere per la propria natura ogni possibilità di dominio (per appropriarsi di qualcosa bisogna stare, creare confini, istituire una difesa di quanto rivendicato come proprio), assottiglia. Fisicamente, certo, ma non solo: le esigenze personali si riducono all’essenziale, e ci si fa concavi per accogliere davvero la vita.
“Il cammino fa paura perché smaschera. Perché è la forma più pura e consapevole per conoscere i luoghi. Quando cammini, il viaggio ti entra dentro, si fa tuo, diventa esperienza vera, materia che ti contamina e ti si appiccica alle suole. Ti sporchi dell’odore e della polvere del mondo”, p. 56.
Il movimento (così prendiamo con un solo vocabolo sia il camminare che il correre) dà un’altra grande lezione: quella della resistenza all’ingordigia contemporanea, alla tendenza alla bulimia, per cui si vorrebbe fare, dire ed essere tutto. Lo spostamento continuo del corpo attraverso lo spazio allena a lasciare andare, insegna a sopportare l’abbandono, la perdita: “Il cammino ti insegna a prendere, e anche a lasciare. A vivere il momento. A non possedere, a cogliere l’attimo. Ti insegna ad accettare l’addio, l’arrivederci, la perdita e l’abbandono. Ti educa a non soffrire inutilmente, ma solo se ne vale la pena: perché la fatica è utile se porta a qualcosa”, p. 123.
L’opera è disseminata di aneddoti intimi così come di considerazioni sociali e morali: camminare, e dunque istituire un rapporto frontale col mondo, pone inevitabilmente il viandante davanti alle questioni ultime. Fermarsi, sembra volerci dire Alessandra Beltrame, equivale ad arrendersi, accettare supinamente il nostro ruolo di cittadini inerti, di ingranaggi della macchina-mondo. Mentre il mondo, che camminando riabbracciamo nella sua essenza, è anzitutto materia; è appunto fuoco, terra, aria e acqua.
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