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Menelique

Lo sport è celebrazione di ogni singolarità e, nello stesso tempo, celebrazione delle differenze.

La combinazione di queste due frasi apre a una serie di letture anche antitetiche della pratica sportiva. Per alcuni, specie se particolarmente dotati dal punto di vista atletico, lo sport è strumento di esaltazione delle proprie performance, e quindi di attestazione di un primato sociale su chi è meno equipaggiato.

E molti di noi podisti, diciamolo, sono tra i primi indiziati: quando ci si ritrova a parlare dopo una gara, si istituisce immediatamente una classifica di merito morale in base ai tempi in cui gli interlocutori l’hanno chiusa.

Ma per fortuna, al contrario, esistono corridori – e sportivi in generale – che nella disciplina praticata trovano un punto di profonda adesione con il proprio nucleo più intimo, e un rapporto più vero – perché non mediato dai ruoli sociali, perché giocato sull’estemporaneità del gesto e sulla assoluta onestà della fatica – col mondo.

Insomma: lo sport può essere uno splendido terreno di parità (una parità non livellatrice, bensì capace di mostrare le peculiarità di ciascuno) o pericoloso àmbito di discriminazione.

Menelique

Degli aspetti meno concilianti dello sport si occupa l’ottavo e finora ultimo numero del quadrimestrale di Menelique (Sport, inverno 2011/2022, che in realtà si presenta come numero 7, ma risulta l’ottava uscita perché esiste il numero zero).

Dove con aspetti meno concilianti indichiamo, da un lato, i rischi che lo sport sia un altro dei luoghi di esclusione o marginalizzazione (per i più vari motivi: sociali, politici, sessuali…). Ma dall’altro lato, lo sport apre alla straordinaria possibilità di trasformare il proprio corpo, e di evadere – grazie al corpo – da confini che, troppo spesso, appaiono come irremovibili linee di demarcazioni tra individui, o gruppi di individui, giusti e sbagliati.

Prima di entrare nel numero dedicato allo Sport, due parole sulla coraggiosa rivista Menelique. Radicale, non conciliante, e soprattutto caparbia nel ricordare ai più distratti che ogni gesto compiuto è politico.

Compreso, per riaffacciarci sull’ultimo numero, il modo di intendere e praticare lo sport. Che è poi una declinazione del modo di intendere il proprio e gli altrui corpi.

Menelique è un progetto indipendente e autofinanziato. Chi volesse contribuire al progetto, può farlo con diverse formule.

Il numero di Menelique sullo sport

Il numero 7 di Menelique, dunque, è dedicato allo sport. Ed è diviso nelle sezioni Non fiction, Fiction, Altri corpi, Sguardo e Artivist.

Encomiabile, intanto, la scelta di indagare sport spesso poco o nulla considerati dai media, dal wrestling allo skateboard, o attività ludiche (come la morra, ben nota in Sardegna come Sa murra) che richiedono un notevole coinvolgimento fisico.

Esemplare, nella sezione Non fiction, il pezzo di Divine Van De Kamp (illustrato da Erica Borgato) sullo yoga, inteso non come pratica sempre più agonistica e spettacolarizzata (e quindi, aggiungiamo, fraintesa). Ma come strumento per riconoscere potenzialità e limiti del proprio corpo.

Della sezione Fiction citiamo il racconto di Paola Moretti, Branchie, illustrato da Federico Manzone, in cui la protagonista prende a poco a poco coscienza di possedere una fisicità per così dire ibrida, o meglio: non solo umana.

In Altri corpi, due articoli consecutivi illustrano con grande chiarezza la questione del razzismo e della transfobia nello sport. Qui, un ragionamento sull’intersessualità induce a porsi domande di non facile soluzione su come suddividere gli atleti nelle competizioni sportive, specie di alto livello. E tutte le proposte avanzate a p. 107 (riconoscere un “terzo genere legale”? Usare delle soglie di biomarcatori come il testosterone?) portano in sé problemi di arbitrarietà o di non inclusività.

Nella sezione Sguardo viene tradotto un articolo di Gabriel Kuhn sul rapporto tra sport e cultura punk.

E in Artivist è presentato il lavoro dell’artista guatemalteca Regina José Galindo, performer che carica il corpo di significati politici.

Insomma: finalmente una pubblicazione non consolatoria, che ci ricorda come lo sport sia uno dei luoghi in cui le differenze vengono inevitabilmente esibite. Sta a noi decidere se la conseguenza debba essere l’esclusività dei più bravi o l’inclusività di tutti.

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