Sono un maratoneta, e questa cosa mi piace moltissimo.
Spiegazione. Dopo due anni ho ricominciato da dove avevo interrotto, e ho nuovamente chiuso (con un tempo davvero modesto, ma quella era la cosa meno importante) una maratona.
Come tutti sapete, parliamo della maratona di Pisa, che si è corsa domenica 17 dicembre. Ci avevo provato una prima volta nel 2019, abbandonando al ventinovesimo chilometro, e l’avevo chiusa con il mio miglior tempo nel 2021.
Stavolta, per quanto mi riguarda, la maratona di Pisa aveva un sapore particolare, per tanti motivi che in larga parte sa chi mi legge ogni settimana. Ma è il caso di fare un breve ripasso, partendo proprio dall’entusiastica dichiarazione ad apertura di articolo.
Sono un maratoneta e questa cosa mi piace moltissimo, anche perché non ero più sicuro di esserlo.
Dopo due anni senza gare, tra acciacchi, infortuni e decadimenti della condizione di forma, sono arrivato alla linea di partenza della maratona di Pisa con una doppia sensazione. La prima era una curiosa leggerezza, data dal fatto che (dopo una preparazione approssimativa) non avevo un rigido obiettivo a cui puntare. La seconda, diciamolo, era una buona dose di fifa: con due lunghissimi andati a bagno, e la sensazione di essere ormai un vecchietto ritrovatosi per caso nello sgargiante universo del podismo, sarei arrivato alla fine?
Ebbene sì: sono arrivato alla fine. Di più: ho corso la maratona di Pisa come se fosse un secondo esordio, rivivendo tutto il ventaglio di emozioni che un podista a tu per tu con la gara regina può provare, dall’esaltazione più infantile alla fatica più strenua. Dal trentaseiesimo chilometro in poi è stata durissima, ma mi sono imposto di tagliare il traguardo e l’ho tagliato.
Essere maratoneta significa saper programmare, resistere, restare fedele all’idea che la posticipazione di un piacere significa riscuotere poi un piacere più intenso.
Sulla maratona di Pisa come gara in sé, c’è poco da dire. L’organizzazione è oliatissima, il percorso è sempre lui, piatto e vario, con arrivo e partenza nientemeno che in Piazza dei Miracoli. E i drittoni prima dei chilometri finali sono una prova in più a cui siamo chiamati: corpo e testa devono restarsene buoni lì, a fare un passo dopo l’altro, con determinazione e pazienza. Se no non sarebbe una maratona.
Aggiungiamo che questa volta, a differenza del 2021, il clima è stato ragionevolissimo: qualche grado sopra lo zero alla partenza, almeno una decina all’arrivo, cielo terso e nei temibili chilometri sul mare appena una brezza.
Unico piccolissimo appunto, ai ristori i volontari (che vanno comunque ringraziati per il loro supporto) avrebbero potuto qui e là essere più solerti nel far trovare i bicchieri pieni d’acqua ai podisti.
Ricorderò l’edizione 2023 della maratona di Pisa soprattutto per un aspetto. Scusandomi per l’autocitazione, curo un podcast sul podismo piuttosto seguito, e sia prima che dopo la gara ho conosciuto diversi corridori che seguono le mie scorribande settimanali.
Ciascuno è uguale solo a sé, d’accordo, e generalizzare o istituire categorie è nel migliore dei casi una semplificazione (e nel peggiore è l’anticamera del razzismo). Tuttavia, chiacchiere e ragionamenti affrontati con tanti compagni di fatica mi hanno radicato ancora di più nelle mie convinzioni. Di norma il podista, o meglio il maratoneta, è un essere indomito, curioso, capace di sopportare i colpi e le avversità, severissimo con se stesso, incline all’autoironia e alla compassione. E desideroso di scoprire dove si trova quel fuoco che, al di là della trita quotidianità, ci tiene vivi.
Insomma: dopo la maratona di Pisa consiglio a tutti, ancora più di prima, di correre almeno una volta 42.195 metri.
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