Può la solita storia del loser che si riscatta dalla propria mediocrità, diventando un formidabile atleta, appassionare un lettore scafato? Può la vicenda di un signore americano di mezz’età, che strizza l’occhio a una delle più recenti mode a stelle e strisce (fatta di wellness, veganismo e di una certa inclinazione alla predica) interessare un uomo smaliziato, attento a rifuggire ogni retorica, e che – dinosauro di estrema sinistra – storce il naso nei confronti di tutto ciò che odora anche lontanamente di americanismo?
Beh, sì, può, se la storia è scritta bene, con una dose di ironia e di umiltà sufficienti a non renderla la solita storia, e se al suo interno sono disseminate alcune critiche nemmeno troppo velate ai modelli culturali statunitensi, a partire dalle esecrabili abitudini alimentari.
Stiamo parlando di Finding ultra, uscito per l’ottimo editore Piano B nel giugno del 2020 (traduzione di Antonio Tozzi). È l’autobiografia di Rich Roll, da ragazzo promessa del nuoto, che ha scialacquato il proprio talento sportivo sino a trovarsi, alle soglie dei quarant’anni, sovrappeso e dipendente dall’alcol. Inizia a quel punto una faticosa – e non senza ricadute – riabilitazione, che lo porterà ad avvicinarsi agli Alcolisti Anonimi prima e al Centro Trattamento Dipendenze dopo. Parallelamente, Roll presterà sempre più attenzione alla propria alimentazione, sino a diventare vegano; o meglio, sino a ideare egli stesso la dieta Plantpower, che nel libro viene descritta in modo piuttosto dettagliato, compresa un’appendice in cui il lettore potrà trovare un buon numero di ricette.
Reso sempre più pimpante da un’alimentazione equilibrata e finalmente priva di junk food, Roll sentirà il bisogno di rimettere in moto il proprio fisico. Comincerà con una corsa di trentotto chilometri lungo il Dirt Mulholland, una zona collinare nei pressi di Los Angeles: “Per la prima volta nella mia vita provai quel senso di ‘unità’, di cui avevo letto soltanto in qualche testo spirituale. Era lo stato che i ragazzi fighi di oggi chiamano flow” (pp. 40-1, corsivo nel testo).
Da allora, Rich Roll si proverà in esperienze sportive sempre più estreme, tra le quali ne ricordiamo due, raccontate con precisione ed entusiasmo nelle pagine di Finding ultra: l’Ultraman, ovvero una gara di ben 515 chilometri (dieci a nuoto, quattrocentoventi in bici e ottantacinque di corsa) e l’EPIC5, che nelle intenzioni lo avrebbe visto completare cinque Ironman in cinque giorni su altrettante isole hawaiane; in realtà Roll e il suo compagno di avventura, Jason Lester, anche per via di alcuni problemi tecnici, chiusero l’impresa in sette giorni.
Al di là del gustoso resoconto di gesta atletiche ben al di fuori dell’ordinario, la lettura di Finding ultra colpisce perché trasmette un messaggio tutt’altro che banale: per riuscire in ciò che si desidera, o meglio per trovare la propria esatta posizione nel mondo (anche se Roll preferisce adoperare la metafora suonare la propria canzone), occorre una grande coerenza comportamentale, che informi di sé ogni aspetto dell’esistenza, e un’attenzione sempre vigile nello sprecare il minor tempo possibile in pensieri o azioni che esulino da questa progettualità univoca. Altre due critiche necessarie, la prima alle tendenze consumistiche che signoreggiano nell’epoca contemporanea (forse in maniera più marcata proprio alle latitudini di Rich Roll), e l’altra all’infantile desiderio di vivere una vita al di fuori di ogni rischio, vengono espresse con chiarezza lungo tutto il volume, a partire dalla prefazione, con un estratto della quale chiudiamo la nostra piccola recensione a un libro che vi invitiamo cordialmente a leggere: “[…] ciò che ci rende felici non è ciò che possediamo. Perché dentro di noi è radicata la continua ricerca di qualcosa d’altro. E perché la sicurezza è soltanto un’illusione.
E la conseguenza è che soffriamo, e a nostra volta infliggiamo dolore agli altri e al pianeta in generale, poiché la chiave della nostra vera essenza – e in definitiva della nostra felicità – non può essere trovata nelle cose che possediamo. Non siamo finiti qui per accumulare, né per rincorrere il potere, e nemmeno per restarcene sempre al sicuro”, p. 10.
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