Sport individuali

Divano e ori olimpici

Cari amici corridori (ma anche: cari amici stanziali, visto poi che in questi giorni la differenza tra le due categorie è impalpabile), dalla vostra semireclusione domestica vi sarete accorti di come il novantacinque per cento degli italiani dotati di un profilo social dia consigli sul come trascorrere in modo ameno le ore. E figurarsi se chi vi scrive sa resistere a una tentazione simile. Però, siccome in questa pagina si parla di sport – e più precisamente di podismo – vi somministro un doppio suggerimento a tema. Si tratta di due filmati che, i primissimi tempi in cui ho iniziato a correre in maniera più metodica, ho pressoché imparato a memoria, per il gusto infantile di farmi inebriare dall’epica e dalla mistica che contengono (e per farsi inebriare dall’epica e dalla mistica, è bene che di un argomento non si abbiano eccessive nozioni, se no si rischia che il ragionamento prevalga sull’emozione).

Si tratta di due momenti di gloria del podismo italiano, che hanno come comun denominatore Luciano Gigliotti.

Seul 1988, Atene 2004

Sto evidentemente parlando dei due ori olimpici in maratona conquistati, rispettivamente, da Gelindo Bordin nel 1988 a Seul e da Stefano Baldini ad Atene nel 2004, entrambi allenati da Luciano “Lucio” Gigliotti.

Vi assicuro che, pur senza nulla comprendere del nostro amato running, si può godere appieno della vista di entrambi i filmati, nonché riconoscere nelle due imprese vistose differenze tecniche.

Partiamo da Bordin. Del suo trionfo esistono diversi filmati in lingua italiana, ma a mio parere il più suggestivo – grazie anche alla sua buona dose di, per così dire, iperrealismo – è senza dubbio la riproposizione della diretta di Telemontecarlo, con Giacomo Mazzocchi nel ruolo di cronista, affiancato proprio da Gigliotti. Il filmato, purtroppo, compare e scompare da Internet, e non sempre è facile intercettarlo, come càpita per le cose più preziose.

Si può ammirare uno scontro a tre fra Gelindo, il keniota Douglas Wakiihuri e il gibutiano Ahmed Salah, che inizia intorno al trentasettesimo chilometro con un accenno di fuga di Salah. Il resto è leggenda, con una serie di crisi di ciascuno dei tre, per cui si può dire che a vincere sia stato non il più tonico bensì il meno sfinito. L’immagine di Bordin che, con una corsa non troppo composta, entra nello stadio di Seul, vince, bacia il suolo e viene colto dai crampi è memorabile. A ciò si aggiunga la coloritissima telecronaca di Mazzocchi (che oggi sarebbe considerata inaccettabile per il suo carattere politically incorrect), il quale – vado a memoria – all’acme dell’eccitazione afferma ad esempio che i due antagonisti di Gelindo sarebbero stati soliti allenarsi con le gazzelle, o sarebbero stati capaci di riposare correndo; per non parlare di Gigliotti che, quando capisce che il suo atleta è ormai destinato a vincere, si commuove e non riesce a continuare la telecronaca… Tutto splendido, grandioso, eccessivo.

E poi si passa ad Atene, alla bellissima, modernissima e fluidissima tecnica di corsa di Stefano Baldini, che indossa un paio di occhiali da sole dopo aver visto la gara femminile e aver arguito che la luce del tramonto avrebbe potuto disturbarlo. E l’incidente a Venderlei de Lima, che era in testa alla gara e che al trentacinquesimo chilometro viene strattonato da un mitomane (da lì, una coda polemica non sopita ancora oggi), e gli ultimi chilometri corsi da Stefano a un ritmo e con una compostezza sorprendenti: il filmato del suo ingresso nello stadio Panathinaiko, con una corsa ancora rotonda ed elastica, ci restituisce un imperituro esempio di estetica podistica.

Se il filmato di Bordin sa eccitarci come la scena finale de Il mucchio selvaggio o come i combattimenti di Rocky, quello di Baldini è un capolavoro di tattica e di modernità: una partenza (relativamente…) lenta, una continua progressione, e lo stile poi – che stile! – con quell’appoggio di mesopiede e quella leggerezza volpesca, mantenuti sino all’ultimo metro.

Guardatevi (o riguardatevi) i filmati, amici podisti. Nell’attesa che si possa tornare presto a esibire pubblicamente le nostre goffe andature e la nostra incomprensibile, irrinunciabile pervicacia.

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