Ho l’incrollabile convinzione che vita e corsa siano strettamente legate, come ho detto e scritto chissà quante volte, l’ultima delle quali non più tardi di due settimane fa.
Anzi: la corsa è un riassunto della vita, e ogni allenamento sulle lunghe distanze – così come ogni gara – racchiude in sé, condensate, le più svariate emozioni, le stesse che poi si sdipanano nei giorni.
Anche le sorprese, positive o negative che siano, costellano sia la corsa che la vita. Pensate che noia se non fosse così: pensate, nella vita e nella corsa, la frustrazione che darebbe riuscire a centrare tutti gli obiettivi che ci prefiggiamo, dopo aver stilato un programma ad hoc. Quanto sono benefiche, invece, le delusioni? Ci permettono (anzi: ci obbligano), a ripensare in maniera più critica a noi stessi: e che bello, poi, quando a una delusione fa seguito una piccola gioia!
Concretizziamo. Un paio di settimane fa, come quasi sempre mi capita il mercoledì, avevo un allenamento di ripetute. Esattamente un dieci per cinquecento (per i non addetti ai lavori, significa percorrere dieci volte i cinquecento metri al massimo delle proprie possibilità, con un breve recupero fra un tratto e l’altro).
Iniziavano le prime giornate afose, e stavo attraversando un periodo non felicissimo, per una noia psicologica che successivamente è andata risolvendosi. Insomma: ho affrontato il mio dieci per cinquecento con la testa altrove, e con la sensazione di avere le gambe di pastafrolla. E le ripetute, in giornate del genere, non perdonano.
Già il primo tratto di cinquecento metri mi è sembrato lunghissimo, i miei muscoli erano duri e dolenti, il mio fiato ridotto all’osso, il caldo insopportabile. Sono riuscito, peraltro chissà come, ad arrivare alla quarta ripetuta, dopo di che non ho più avuto la minima voglia di faticare.
Ecco: al di là della condizione di forma che stiamo attraversando in uno specifico momento, quando non siamo concentrati sul nostro allenamento non siamo disposti ad abbracciare la fatica. Quando quella arriva, ci sovrasta.
L’aspetto positivo di questa piccola sconfitta sportiva è stato il pensiero che mi ha tenuto occupato nei chilometri verso casa: avrei recuperato l’allenamento il prima possibile.
Due giorni possono essere un intervallo di tempo non piccolo. Specie se le nubi che ci occupavano i pensieri si sono dissolte, e noi abbiamo potuto riposare decentemente, alimentarci meglio, ritrovare una certa serenità e una certa fiducia in noi stessi.
Complice anche una temperatura un po’ più ragionevole, insomma, due giorni dopo quel fatidico mercoledì ho ritentato il mio dieci per cinquecento. Che non avrò corso a velocità olimpiche (intanto sarei stato in ritardo: i Giochi sono già iniziati), ma che ho concluso dignitosamente e senza che mai il desiderio di abbandonare mi abbia fatto visita. La fatica di certo c’è stata, ma l’ho saputa amministrare.
E che piccola, doppia felicità tornarsene a casa sudati marci e accaldati, ma con l’allenamento portato a termine e con una piccola rivincita presa!
Perciò, come dicevamo, meno male che nella corsa ci sono le sorprese. Anzi: meno male che ci sono le giornate no, perché solo grazie a loro possiamo – per contrasto – riconoscere le volte in cui le cose vanno benone, e gioirne.
Torniamo infine all’inevitabile paragone con la vita, e al miracolo periodico per cui, anche quando ci sentiamo a terra e siamo convinti che non riusciremo più a risollevarci, dobbiamo (dovremmo) solo armarci di pazienza, e della consapevolezza che i ragionamenti consumati nel bel mezzo di una crisi sono inattendibili per un eccesso di pessimismo. Ma servono anche loro, oh se servono, per abituarci a riconoscere i momenti in cui… non dobbiamo fidarci troppo di noi stessi.
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