Libri

De arte gymnastica

Cari sportivi, avrete ormai imparato che oggi il podismo è anche una moda; e dunque – ahinoi – un florido mercato. Calzature, capi di abbigliamento, integratori e gadget sempre più colorati promettono mirabili miglioramenti nelle prestazioni, un aumento della libido e, per i calvi, la repentina ricrescita dei capelli.

Come noto, noi ci limitiamo a testare e recensire i prodotti che puntino realmente alla qualità, meglio se dall’estetica e dal battage pubblicitario sobri.

Non parliamo della letteratura sulla, o intorno alla, corsa. Tralasciando i pochi e fondamentali manuali (pensiamo a quelli di Arcelli, Massini, Pizzolato e Baldini), è raro imbattersi in volumi che indaghino, con sufficiente scientificità e godibilità stilistica, i motivi ultimi del correre.

Troppo spesso i libri di argomento podistico narrano la vicenda di ex alcolizzati obesi che tre mesi prima erano in bilico sul cornicione del proprio palazzo, e tre mesi dopo hanno corso la maratona di New York.

Ogni tanto, tuttavia, viene data alla stampa una lieta eccezione.

De arte gymnastica

Laterza, che nel 2018 (seconda edizione 2020) aveva dato alle stampe il mirabile La fatica più bella. Perché correre cambia la vita di Gastone Breccia, ora ci propone (aprile 2022) De arte gymnastica. Da Maratona ad Atene con le ali ai piedi di Andrea Marcolongo.

Marcolongo è giornalista e scrittrice (e a cavallo tra il 2013 e il 2014 è stata anche, a leggere la voce che Wikipedia in lingua inglese le dedica, ghostwriter di Matteo Renzi).

Da qualche anno, Andrea ha conosciuto la corsa. E la corsa, si sa, o non la si conosce o se ne rimane folgorati.

Il libro

De arte gymnastica prende spunto (forse in modo un po’ pretestuoso) dal quasi omonimo libro di Filostrato, Sulla ginnastica, più noto in lingua italiana col titolo Sull’allenamento.

In realtà, De arte gymnastica è la cronaca dell’avvicinamento dell’autrice alla sua prima maratona, che correrà (o ha già corso?) ad Atene.

Nel volume l’autrice descrive, senza troppo soffermarsi sugli aspetti tecnici, le sue fatiche podistiche, e l’ampio ventaglio di emozioni (a noi ben note) che accompagna la preparazione della gara regina.

Inoltre, ed eccole le pagine più felici, Marcolongo esplora il mistero primigenio della corsa. E lo fa regalando qui e là ai lettori delle intuizioni mirabili, che probabilmente avrebbero meritato maggior approfondimento.

Sin dalle pagine introduttive del libro è chiaro come il rapporto tra la scrittrice e il podismo sia deprivato di ogni aspetto consolatorio: il suo intento è quello “di far luce su ciò che provo oggi nei confronti della corsa e che per comodità si può facilmente riassumere in una sola parola: sconcerto”, pp. XIII-XIV.

E poco oltre: “Ho infine compreso, credo, che mi ostino a correre perché è il modo più concreto ed efficace per sentirmi viva, o almeno l’unico che conosco. Detto in altri termini, corro perché ho paura di morire”, p. 14.

Persuadono anche i passaggi dedicati alla corsa come strumento che permetta di acquisire la piena consapevolezza dell’importanza, del peso, del tempo. O per percepire la propria concreta presenza nel mondo: “In nessun’altra delle azioni che mi sia mai successo di compiere – fatta eccezione per la scrittura, in certi giorni gentili – sono pienamente, totalmente, ostinatamente presente a me stessa come quando corro”, p. 62.

Tuttavia (al di là di qualche imprecisione tecnica, che le perdoniamo per la recente confidenza con la materia), in più punti l’autrice sembra rifuggire l’idea che la fatica, se profonda e protratta nel tempo, possa consentire l’accesso a quote di sé ancor più inesplorate, intime, primitive, e dunque – in definitiva – più vere.

Il sarcasmo di Marcolongo – che si palesa a p. 161 (e dintorni), dove leggiamo di “dilettanti quasi pronti a uccidere per ridurre il proprio crono di una manciata di secondi” – da un lato testimonia i ben noti eccessi agonistici di buona parte dei podisti amatoriali.

Ma dall’altro liquida come devoti della “performance, la parola che meglio riassume questi nostri anni ansiogeni” (p. 160), tipologie di corridori ben differenti tra loro.

Ci sono gli ossessivi, certo, ma ci sono anche coloro i quali sanno che la corsa concede come poche altre azioni umane la possibilità di conoscere la propria natura più autentica. E di uniformarsi – una volta abbandonati gli orpelli al bordo della strada – al ritmo del mondo.

Siamo convinti che Andrea Marcolongo, se vorrà continuare a correre, magari con ancora più costanza e dedizione, scoprirà presto ciò di cui stiamo parlando.

Voi, intanto, leggete De arte gymnastica.

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