Il secondo mestiere non è solo la raccolta di scritti giornalistici di Eugenio Montale, ma è anche la locuzione perfetta per indicare il rapporto di una grande percentuale di podisti amatori con la corsa.
Modesti o meno che siamo dal punto di vista atletico, a molti di noi correre prende una percentuale considerevole dell’esistenza. E non ci riferiamo solo al tempo dedicato agli allenamenti. Ma al fatto che la corsa informa di sé l’intera vita: modifica il rapporto con l’alimentazione e il riposo, detta gli orari della giornata (a quante uscite abbiamo dovuto rinunciare il sabato sera, se la domenica mattina la sveglia sarebbe stata puntata prima dell’alba per correre un lunghissimo?). Per non parlare dell’organizzazione delle ferie, o delle gite del fine settimana in località del tutto sconosciute e prive di attrazioni; salvo, magari, una mezza maratona.
Ciascuno di noi podisti, poi, interpreta la corsa a seconda del proprio retroterra culturale. Conosco ingegneri che approntano tabelle di allenamento elaborate in modo maniacale. O manager d’azienda sempre in giro per il mondo che, prima di una trasferta, passano ore tra Internet e telefono per assicurarsi il pernottamento in una struttura ricettiva nei pressi di tracciati idonei ad allenarsi.
Se poi il podista amatore in questione, oltre che capace di ottimi risultati cronometrici, è anche un importante biologo, non poteva che sortirne il libro di cui vi parleremo.
Correre. Una storia naturale è uscito nel giugno del 2022 per Piano B, nella traduzione di Simona Moretti.
Lo ha scritto Bernd Heinrich, biologo noto a livello planetario soprattutto per i suoi studi sulla fisiologia e sul comportamento degli insetti e degli uccelli. Ma anche ottimo podista amatore, con un personal best in maratona di 2 ore e 22 minuti.
Il volume è un bizzarro resoconto del suo avvicinamento al campionato nazionale statunitense del 1981 sulla distanza dei 100 chilometri.
Bizzarro perché?
Perché la preparazione dell’allora quarantunenne Bernd Heinrich non viene palesata attraverso i programmi di allenamento. Qualche concessione, tutt’al più, è data ai suoi esperimenti (spesso tanto coraggiosi quanto fallimentari) nell’ambito dell’alimentazione e dell’integrazione. Per esempio: “Il mio terzo tentativo fu una miscela di molti carboidrati e molta acqua – ovvero la birra”, p. 232.
Ma, soprattutto, Heinrich sfrutta i suoi studi, e cerca di capire come mai alcuni animali sono campioni di velocità e altri di resistenza.
Gli esempi, innumerevoli, innervano l’intero volume. Forse, talvolta Heinrich indulge un po’ troppo in dettagli sul comportamento animale, che non sempre hanno un collegamento diretto con la pratica podistica. Ma glielo perdoniamo: è il suo mestiere.
Altrove, però, ci sono pagine illuminanti: come quelle che illustrano le modalità di raffreddamento corporeo da parte di una serie di animali, dalle cicogne agli avvoltoi. E che confermano come gli esseri umani abbiano un insuperabile sistema di traspirazione, concetto cardine dell’ormai storico articolo Endurance running and the evolution of Homo di Dennis Bramble e Daniel Lieberman.
Insomma: Correre. Una storia naturale è la narrazione intrecciata di due amori, oltre che due ambiti in cui l’autore eccelle. Consapevolezza e passione: cosa si vuole di più?
Beh, in Correre. Una storia naturale c’è anche dell’altro. È un argomento mai esibito, ma che attraversa in filigrana l’intera opera: quello secondo cui la corsa non celebra affatto la superiorità umana, ma è semmai un’attività che ci colloca animali tra gli animali, presi in un grande disegno – non importa se voluto o meno da un essere trascendente – pieno di bellezza e mistero.
Ah: per i più curiosi, nei capitoli finali Heinrich ci restituisce la cronaca del campionato nazionale statunitense sui 100 chilometri, a cui l’autore aveva preso parte col dichiarato obiettivo di vincere. Ci riuscirà?
Placate la vostra curiosità animalesca, e leggete Correre. Una storia naturale per scoprirlo.
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