Correre per correre

Alle tabelle preparate per noi da allenatori professionisti non si sfugge, e in fondo è giusto per più di un motivo. Primo, perché dopo qualche tempo che si corre con una certa costanza e una certa passione, viene da sé il desiderio farlo in modo più consapevole, e viene altrettanto da sé il desiderio di correre più svelto.

Secondo, perché è normale affidarsi a un professionista: se per farci aggiustare un tubo che perde chiamiamo l’idraulico, e per curare un ascesso andiamo dal dentista, per allenarci con profitto non è scandaloso farsi seguire da un allenatore qualificato (ma che qualificato sia: evitate di sbirciare le tabelle on line, o di farvele somministrare dal vostro amico runner che si autoproclama coach perché dieci anni prima ha dato qualche consiglio al nipote in vista di una gara parrocchiale).

Terzo motivo: a noi piace essere eterodiretti. Sbandieriamo autonomia ai quattro venti, ma se si provasse a impostare un piano di allenamenti per sé, verrebbe molto più facile accampare alibi per dribblare o alleggerire le uscite più impegnative. Se invece a prepararci le tabelle è qualcun altro, qualcuno in cui riponiamo piena fiducia e che magari ammiriamo, scatta la sindrome allievo-maestro, col suo ventaglio di implicazioni psicologiche: vogliamo far bella figura, mostrare quanto siamo bravi e disciplinati, magari ambire a diventare i primi della classe.

Tutto ciò, se vissuto in modo equilibrato (con la dovuta serietà, sempre memori del fatto che per noi amatori la corsa deve essere e rimanere un elemento che fa parte della vita e la rende migliore, non una mania che alla vita si sostituisce), ci garantisce mesi di fatiche e divertimenti.

Tutto giusto, però

Tutto giusto, però di solito l’amatore arriva a giugno che non ne può più. Non ne può più di gareggiare, o anche solo di allenarsi in modo sistematico, con l’occhio che vigila costantemente l’orologio GPS.

È quanto successo a chi sta scrivendo queste righe, il quale peraltro ha dovuto affrontare alcune settimane lavorative particolarmente dure. Ebbene, questa è l’ora di cambiare atteggiamento. Smettere di correre? Nossignore. È sufficiente prendersi un tempo né breve né lungo – diciamo suppergiù un mese – senza gareggiare, ma soprattutto allenandosi con estrema tranquillità (ottima strategia, peraltro, per affrontare il primo caldo).

I consigli possono essere molti, ma hanno tutti una radice comune: correte per il gusto di correre, evitando strategie o pianificazioni. Certo, per non perdere quanto di buono costruito nel tempo, non sarebbe sbagliato inserire una seduta di qualità a settimana (ripetute brevi, ad esempio, o sprint in salita), ma senza esasperarsi con il crono; così come, per i fondisti, sarebbe utile almeno un’uscita ogni due settimane superiore ai 15 chilometri. Ma quando viene! Non necessariamente la domenica, ecco. Un mercoledì mattina più libero del solito, in cui vi svegliate presto e pieni di energie: quello potrebbe essere il giorno ideale per il vostro lungo.

Abbiate il coraggio di correre slacciando l’orologio dal polso. Sperimentate: chi non lo ha mai fatto, provi a correre la mattina a digiuno (non più di una dozzina di chilometri, per iniziare). Eseguite il vero fartlek, quello per cui un tratto di corsa veloce – da un punto a un altro stabiliti lì per lì – si alterna a uno di recupero, ugualmente improvvisato. Giocate a modificare la vostra tecnica: magari scoprirete che, facendo oscillare un po’ di più le braccia, inclinando appena di più il busto in avanti, sollevando un po’ meno le ginocchia eccetera, la vostra azione di corsa diventerà meno dispendiosa e più leggera.

Correte quando e quanto ne avete voglia. Ascoltatevi. Mentre correte, pensate al fatto che correre fa parte di noi: lo dicono il nostro apparato osseo, quello muscolare e quello della traspirazione. Corriamo sin dalla preistoria, quando inseguivamo per chilometri e chilometri le nostre prede, sino a sfiancarle: siamo impareggiabili nella corsa di resistenza. Scoprirete che correre accende una sorta di memoria ancestrale, ed è per quello che ci piace così tanto, mica solo per il rilascio delle ben note endorfine: perché siamo ancora noi i nostri fratelli maggiori che centinaia di migliaia di anni fa correvano e correvano, per sopravvivere.

Abbiamo solo un mese all’anno per vivere tutte queste sensazioni: vogliamo davvero privarcene?

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