Editoriale

Correre di più: e quindi?

Cari lettori, bentrovati. Oggi proverò a sviluppare un discorso semplice semplice, ma a suo modo importante. Comincerò (e forse finirò) parlando di me, ma non per il gusto di parlare di me: sospetto che sia, il mio, un ragionamento facilmente esportabile.

Proverò a darvi conto di un concetto che ha solo l’apparenza di un paradosso: quello per cui più si corre e… meno ci si accorge di correre, se vogliamo. Pronti?

Verso la maratona di Milano

Come ho già scritto da qualche parte, il 7 aprile correrò la Milano Marathon. Dal momento che i miei ultimi anni sono stati costellati da infortuni, e dal momento che si invecchia, con il mio allenatore Fulvio Massini abbiamo deciso di provare a correre (eh sì!) ai ripari in due modi. Inserendo un quinto allenamento settimanale, e introducendo una sessione di esercizi di forza (per attenuare l’inevitabile fenomeno della sarcopenia, ossia la progressiva diminuzione di massa muscolare).

La cosa mi ha suscitato due dubbi. Il primo di natura squisitamente fisica: come avrei retto un quinto allenamento? Il secondo di natura per così dire psicologica: un quinto allenamento settimanale non sarebbe stato troppo, per me? In questo modo la corsa non avrebbe preso uno spazio eccessivo nella mia vita? È lecito, mi sono domandato, che un podista amatore dalle prestazioni cronometriche sempre più modeste si alleni cinque giorni su sette? Chi mi credo di essere?

Ora che il primo mese di allenamenti in vista di Milano è alle spalle, posso rispondere – anzi, rispondermi – con una certa consapevolezza della questione.

Correre di più: il fisico

Correre di più, anzitutto, non mi ha dato nessun contraccolpo fisico. Un allenatore con l’esperienza di Massini ha evidentemente saputo aggiungere un quinto allenamento congruo per chilometraggio e intensità, in modo che il mio fisico potesse assimilarlo bene. In modo, insomma, da permettermi di essere più allenato, ma non troppo allenato (perché, ricordiamolo, per molti amatori ingordi il rischio di sovrallenamento è sempre dietro l’angolo).

Correre di più: la mente

E veniamo all’aspetto fondamentale: correre di più non ha prodotto nessuna catastrofe psicologica. Non mi ha ossessionato, non mi ha fatto sentire un povero podista mediocre che fa il verso ai professionisti, o chissà cos’altro. È successo, casomai, l’opposto.

Correndo quasi ogni giorno (e i due giorni in cui non corro faccio comunque una volta esercizi di forza e un’altra di stretching), la corsa si è guadagnata uno spazio più ampio ma pure più invisibile nella mia quotidianità. È un’azione che compio, la mattina presto, assieme al fare colazione, all’ascolto del telegiornale, eccetera. Sta diventando una cosa che c’è, al punto tale che non ci penso quasi più. Immagino che succeda così a chiunque per qualunque attività, a esclusione forse di ciò che detestiamo ma che non possiamo evitare di fare. Benissimo: ma quindi?

Correre di più: che ne sarà di me?

Quindi correre di più mi sta piacendo e mi sta facendo dimenticare la corsa, perché la corsa sta aderendo alla mia quotidianità in modo sempre più naturale, e da parte mia l’ho accolta senza sforzo.

Ci sono ottime probabilità che nel mio futuro più o meno prossimo la corsa avrà connotazioni sempre meno agonistiche (non mi riferisco solo alle gare ma anche agli allenamenti programmati o ragionati, con l’occhio all’orologio GPS per restare sui ritmi prefissati) e sarà sempre sempre più… felicemente casuale.

Il fatto è che la conquista della libertà formale, in qualunque àmbito, è un lento apprendistato: prima bisogna conoscere a menadito un argomento per poterne poi abbandonare le architetture. In altre parole: ci si può considerare liberi da qualcosa solo se prima quel qualcosa, per un certo tempo, ci ha soggiogati.

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Tag: correre

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