Quell’allenamento che esce un disastro, nonostante fossimo in un periodo di buona forma; l’amico che ripete a chiunque incontri: “la maratona è una questione di testa”; il tizio che ha corso il Passatore e confessa: “mi sono ritirato al settantacinquesimo chilometro perché sono crollato psicologicamente”; eccetera eccetera.
Noi podisti abbiamo imparato tutto quello che c’è da sapere sulla tecnica di corsa, sui programmi di allenamento e sull’integrazione. Negli ultimi tempi, poi, stiamo diventando sempre più consapevoli per quanto riguarda l’alimentazione e il riposo. Eppure, insistiamo a sottovalutare l’aspetto mentale, che invece è fondamentale tanto nella preparazione quanto nell’esecuzione di una performance atletica.
Ormai la parola stress viene comunemente intesa nella sua accezione negativa, ma se consultassimo un buon dizionario on line scopriremmo che si tratta di un termine neutro, il cui significato è: “risposta funzionale con cui l’organismo reagisce a uno stimolo più o meno violento (stressor) di qualsiasi natura (microbica, tossica, traumatica, termica, emozionale, ecc.)”.
Lo stress (e qui si chiarisce subito l’importanza del fattore psicologico nello sport) dipende insomma dalla percezione individuale di un evento che ci impone un qualche cambiamento. Ecco dunque che si può parlare di stress positivo (eustress) o negativo (distress), a seconda proprio della qualità della nostra percezione di questo evento. Un evento che non modifica in nulla e per nulla il nostro stato, che non prevede alcuna nostra reazione di adattamento, non produrrà in noi alcuno stress. Ripetiamo il concetto fondamentale: lo stress dipende unicamente dalla nostra interpretazione di un evento. Forti di questa consapevolezza, da oggi presteremo un po’ più di attenzione anche all’allenamento mentale?
Non so leggere nel pensiero, ma posso intuire le domande che a questo punto vi starete facendo: come si reagisce a un evento in qualche modo destabilizzante? Ci si comporta tutti allo stesso modo?
Le risposte a queste e a numerose altre domande vengono fornite da Stress & performance atletica, scritto da Cesare Picco e pubblicato dalle Edizioni Psiconline nel 2017.
Nel primo dei quattro capitoli che compongono il volume, dopo la definizione di stress di cui abbiamo appena parlato, ci viene presentata l’ormai classica tripartizione della reazione del nostro organismo a uno stressor: il processo complessivo prende il nome di sindrome generale di adattamento e le tre fasi sono allarme, resistenza ed esaurimento. Si passa quindi all’esposizione del quadro clinico-sintomatologico del soggetto stressato (nel senso di: vittima del distress), alla definizione di resilienza e a quella di flow (cioè il livello di stress adeguato a far conseguire una performance sportiva ottimale).
Il secondo capitolo è una rassegna dei diversi livelli di stress, con un accenno alle cause (per esempio l’alimentazione) e alle conseguenze (per esempio gli infortuni) del distress. Non manca qualche spunto per comprendere il proprio livello di stress e modificarlo, così da poter aspirare al flow.
Il cuore del libro è tuttavia rappresentato dal terzo capitolo, nel quale sono elencate cinque diverse categorie di atleta, che hanno ciascuna una differente curva stress-performance, ovvero un rapporto differente con lo stress prima, durante e dopo la gara. Di ognuna delle categorie (chiamate benzina, diesel, gas, a funzionamento misto A e a funzionamento misto B) vengono analizzati gli indicatori comportamentali, la curva stress-performance e la sindrome generale da adattamento, vengono forniti suggerimenti sull’approccio ad allenamento, pre-gara, gara e recupero, con una nota conclusiva sui vantaggi e gli svantaggi dell’appartenere alla categoria esaminata.
Nel quarto capitolo troviamo infine l’illustrazione di alcuni tratti di personalità (come ad esempio il perfezionismo, l’ottimismo e la paura di vincere), indagati in rapporto alla gestione dello stress.
Questa pur rapidissima disamina del libro di Picco può già darci una prima idea di quanto complesso e affascinante sia il binomio stress-performance, oltre che di quanto imprescindibile sia la cura dell’aspetto mentale nell’allenamento e nelle competizioni sportive. L’augurio, che si fa l’autore nelle pagine conclusive e a cui ci uniamo volentieri, è che si colmi una lacuna, generata dall’attuale sproporzione tra l’ampia diffusione di tecniche (di rilassamento, di concentrazione eccetera…) e la scarsità di modelli teorici in psicologia sportiva.
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